Pedivella “lunga”, pedivella “corta”, pedivella “normale”.

    Quali vantaggi offre l’uso di pedivelle più lunghe della media? Quali gli svantaggi? E ancora: in base a quali principi dev’essere scelta la lunghezza di una pedivella? E’ un componente da considerarsi di misura “standard”, sul quale “adattare” – per così dire – le caratteristiche del ciclista, a cominciare dalla posizione in sella? Oppure è da scegliere in funzione delle quote fisico-antropometriche individuali? E se le cose stanno così, perché la pedivella da 170 mm è quella più diffusa? Domande molto intriganti perché spesso nascondono pregiudizi e luoghi comuni difficili da estirpare. Domande molto interessanti per chi pedala, perché coinvolgono – in definitiva – l’intera teoria ciclistica e, in particolare, quella parte che riguarda la posizione sulla macchina ed il rendimento ottimale della pedalata. Dunque, un discorso che ci porterebbe lontano e che lo spazio tiranno ci impedisce di sviluppare come si dovrebbe. Ci proveremo, tuttavia, per grandi linee con l’intenzione soprattutto di dare un contributo per rimuovere i troppi pregiudizi del passato. Anche a costo di apparire schematici e non del tutto esaurienti. Partiamo da alcuni dati di fatto. Oggi le pedivelle più diffuse sono quelle lunghe 170 mm. I perché svariano dall’abitudine al conformismo, dall’esperienza consolidata, al timore della novità, ma non hanno una vera e propria ragione tecnico-scientifica. Non esiste ancora da noi, infatti, un modello teorico di riferimento del ciclista e del suo rendimento ottimale in bici che sia affidabile. Di rado la scelta della misura viene fatta rispettando i canoni amtropometrici del ciclista. Anzi. Si va per sentito dire, per usi e tradizioni abitudinarie, talvolta non del tutto condivisibili. O superate dall’evoluzione dei tempi. Spesso si dà più rilievo ad una verniciatura, ad un particolare estetico piuttosto che a questo componente. Come se da esso, da questa piccola, importantissima leva non dipendesse gran parte del nostro rendimento, quindi della nostra soddisfazione in sella. Eppure su di un dato la maggior parte degli esperti è d’accordo:   la lunghezza della pedivella dev’essere scelta in relazione alle quote degli arti inferiori Una teoria, però, che trova poca attuazione pratica. Anche se l’industria ed il mercato – occorre ammetterlo – offrono una gamma pressoché completa di possibilità. A frenare moltissimo lo sviluppo e la ricerca del giusto rapporto fra lunghezza degli arti inferiori e quota delle pedivelle sono stati nel tempo la relativa scarsità delle indagini speculative sull’argomento e il consolidarsi di molti, troppi pregiudizi. Prima fra tutte l’opinione che usare pedivelle più lunghe del tradizionale (la misura standard è di 170 mm) porterebbe ad un affaticamento pericoloso dei tendini e a una serie di guai che da questo problema discenderebbero a cascata. E talvolta le conclusioni non felici di esperienze frettolose o male effettuate hanno trovato appiglio in teorie, abbastanza condivise nell’ambiente delle due ruote fino a qualche tempo fa, ma spesso basate su conclusioni empiriche, o para-scientifiche, perché la ricerca non poteva avere alle spalle allora i mezzi e i metodi computerizzati di cui oggi dispone. Così, Giuseppe Ambrosini, uno dei “padri” della teoria e della tecnica della bicicletta (il suo “Prendi la bicicletta e vai”, è una vera e propria pietra miliare, anche se ora appare in taluni passi abbastanza datato) non nasconde la sua ostilità alle pedivelle più lunghe. Secondo Ambrosini il semplice aumento di un centimetro della lunghezza delle pedivelle provoca la crescita di due centimetri nel movimento del ginocchio dall’alto al basso durante la pedalata, mentre piede e caviglia compiono un percorso più lungo di 6,28 cm. lungo la circonferenza che rappresenta la rivoluzione completa. Ne deriva, secondo Ambrosini, che la coscia si flette maggiormente sul bacino quando il...

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