Differenze tra freni a disco idraulici e meccanici

Articolo tratto da: blog.studenti.it Quello sopracitato è un argomento molto dibattuto e sebbene molti ritengano i freni meccanici inferiori agli idraulici, queste credenze sono prive di fondamento: ciascuno dei due impianti ha i suoi vantaggi e i suoi svantaggi, rendendolo più adatto a determinati stili di guida. Prima vediamo però le caratteristiche dei due impianti: Nei freni a disco meccanici la leva tira un cavo come nei classici v-brake, questo aziona in seguito il movimento di una delle due pastiglie che va così a stringere il disco. Negli idraulici è tutto più complesso: tirando la leva questa aziona un pistone che pompa dell’ olio nel tubo freno. Ovviamente il liquido va poi a comprimere le pinze sul disco mediante due pistoncini, o quattro in certi casi. Ora vediamo i vantaggi di ciascuno, prima quelli dei meccanici: -Sono pienamente compatibili con leve V-brake, così si può anche solo acquistare disco e pinza e tenere leve, cavi e guaine dell’ impianto precedente; -sono più semplici nella manutenzione: regolare la tensione del cavo, la distanza delle pastiglie, etc. è più facile con i meccanici ed è fattibile anche sul campo e dai meno esperti; -anche le riparazioni  sono più semplici ed economiche: se vi si impiglia una guaina in qualche ramo e si strappa basta cambiare il cavetto e al massimo la guaina, con un idraulico la cosa sarebbe ben più complessa, senza considerare l’ inquinamento dato dallo spargimento d’olio; -non soffrono il surriscaldamento: mentre gli idraulici surriscaldandosi perdono potenza e diventano spugnosi, i meccanici si possono utilizzare senza preoccuparsi di farli raffreddare ogni tanto.   Gli impianti idraulici però: -Sono più potenti: tirando la leva l’olio si sposta senza produrre attrito quindi a parità di sforzo la frenata è più forte; -nella maggior parte dei casi sono anche più modulabili e precisi, grazie all’ incomprimibilità dell’ olio nei cavi e alla ridotta corsa delle pastiglie (lo spazio che le pastiglie percorrono per arrivare al freno); -sono più leggeri: l’olio è più leggero rispetto a un cavo meccanico e solitamente gli idraulici hanno corpi freno più compatti; -in teoria una volta regolati non c’è più bisogno di ripetere quest’ operazione fino allo spurgo seguente (cambio dell’ olio), quindi per anche più di un anno. Come visto qui sopra nessuno è migliore dell’ altro, dipende dall’ uso che ne farete la scelta di un impianto di un tipo o dell’ altro, va però aggiunto che mediamente i freni meccanici costano meno, e la loro manutenzione pure; detto questo, a voi la scelta!   Follow @RIALBIKE...

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Trasmissione interna: perché?

Articolo tratto da: www.mtb-mag.com La trasmissione con catena e deragliatori anteriore e posteriore viene utilizzata sin dagli albori della bicicletta. Se dagli anni ’30 il deragliatore a parallelogramma è stato il sistema di trasmissione universale, utilizzato su ogni tipo di bicicletta, significa che bene o male funziona… Perché quindi cercare nuove soluzioni? C’è da dire che 15 o 20 anni fa la mtb non era ai livelli attuali. Non c’erano biciclette in grado di scendere alle velocità dei mezzi moderni. Velocità maggiori, sollecitazioni maggiori e quindi maggior rischio di rompere componenti, specialmente se questi sono molto esposti come il deragliatore.     I limiti della trasmissione “tradizionale” sono comunque evidenti. Primo tra tutti è il problema delle cambiate sotto sforzo: non si può cambiare quando la tensione della catena è eccessiva, così come non si può cambiare se non si sta pedalando. I sistemi di trasmissione interna nascono proprio con l’intento di superare quelli che sono gli attuali limiti della trasmissione tradizionale, con l’intento di semplificare la vita al biker ed incrementare la durata dei componenti, riducendo il rischio di rotture. Il Pinion New entry in questo settore è il Pinion. Sviluppato proprio per sopperire ai limiti delle trasmissioni tradizionali, il pinion supera i limiti delle precedenti trasmissioni interne posizionando gli ingranaggi in zona movimento centrale.     Gli ingranaggi sono infatti la parte più pesante di ogni sistema di trasmissione interna ed il loro posizionamento influenza in maniera piuttosto importante il comportamento di una mountain bike. Il movimento centrale è il posto migliore dove concentrare il peso: si tratta della zona più bassa della bici e posizionando in tale zona il meccanismo di moltiplica, otteniamo una bici con il baricentro più basso possibile. Baricentro basso significa numerosi vantaggi per il rider:la bici non tende a ribaltarsi in discesa, risulta più maneggevole in curva e nei cambi di direzione, risulta più stabile sullo scassato. Il peso posizionato sul movimento cenrale poi non va ad influenzare la sospensione posteriore. Se noi infatti appesantiamo il mozzo o la ruota, aumenta l’inerzia del sistema quando impatta su un ostacolo: la sospensione quindi si impigrisce e la ruota non riesce a seguire correttamente tutte le asperità del terreno. Con il peso in zona  movimento centrale, questo problema non si pone.     Internamente il Pinion è costituito da una serie di ingranaggi in grado di ottenere 18 rapporti. Possono sembrare pochi, ma in realtà il Pinion è il sistema che ad oggi offre la maggior gamma di rapporti disponibili, addirittura più di un sistema con deragliatore tradizionale. Si tratta infatti di 18 rapporti con un incremento continuo dell’11,5%: niente doppioni, come sui sistemi con doppia corona o tripla. Il sistema è costituito da 6 coppie di ingranaggi a cui si aggiunge un variatore, dotato di 3 posizioni. A seconda della posizione di questo variatore, i 6 rapporti vengono moltiplicati in maniera opportuna, ottenendo i 18 rapporti efettivamente disponibili. Gli ingranaggi lavorano in modo che siano ingaggiati sempre due coppie di ruote dentate: questo consente la cambiata in ogni condizione, anche sotto sforzo.     Il meccanismo è attuato da un cavo, che fa ruotare  una ghiera. Questa ghiera, collegata ad un apposito meccasnimo, gestisce gli agganci dei vari ingranaggi che gestiscono i rapporti. In pratica ruotando la ghiera, un meccanismo innesta un determinato ingranaggio e posiziona il moltiplicatore in maniera opportuna. Il funzionamento è molto complicato, per cui non scenderò troppo nei dettagli… Ci basti sapere che sono una serie di ingranaggi in acciaio a moltiplicare il movimento rotatorio della pedivella. Di fatto insomma corona e pedivella si trovano a ruotare a velocità...

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Freni Shimano ST-RS685: test

articolo tratto da : www.bdc-mag.com Di Piergiorgio Sbrissa on14 maggio 2015 Il sistema si compone dei comandi RS685, dal funzionamento idraulico, ma compatibili con i gruppi meccanici della casa giapponese. Questi comandi non sono specifici ad un gruppo in particolare, ma sono stati pensati appositamente per esserlo con tutti i vari gruppi della gamma Shimano, quindi riportano solo il logo Shimano senza nomi specifici. Gli altri componenti fondamentali sono le pinze, le R785, che sono le stesse utilizzate sull’impianto DI2, ma con un piccolo perfezionamento nella disposizione dell’attacco del tubo. Ed infine dai rotori Ice Tech FREEZA Center-Lock SM-RT99 da 140mm sia per l’anteriore che posteriore.L’impianto, volendolo comprare aftermaket, necessita dell’installazione e quindi dell’inserimento dei tubi idraulici e del riempimento dell’impianto con olio minerale. L’operazione non è propriamente agevole, in particolare per via dell’ingresso dell’olio dalla parte della pinza. In ogni caso, riassumendo, queste sono le operazioni da fare: – smontare la pinza dal telaio in modo da avere la bleeding port (nella seconda foto sotto la porta è nascosta da un tappo di gomma, non è la brugola ma proprio li sotto) nel punto più alto possibile. – sollevare il paramani controllare che la porta dello spurgo non guardi in terra (verificare tramite l’olio nel bicchierino-incluso- che deve essere in bolla rispetto al pavimento) – quando si spurga tenere la vite del free stroke sulla leva svitata. – può essere utile farsi aiutare da una seconda persona che tiri la leva mentre viene aperta per un breve tempo la porta di spurgo sulla pinza dall’altra persona. in questo modo vengono espulse eventuali bolle d’aria intrappolate nel tubo. Un consiglio che ci sentiamo di darvi è di acquistare il set con le giunzioni semplificate dei tubi idraulici (immagine sotto). Questo è pressoché  fondamentale nel caso abbiate la necessità di smontare o i comandi o le pinze per un qualsiasi motivo. In caso contrario con i tubi standard sarete costretti a tagliarli, visto che le ogive di innesto sono a pressione. Il che vuol dire praticamente smontare tutta la bici (peggio ancora se con passaggi cavi interni sul telaio o manubrio). L’ergonomia dei comandi è ottima e cambia nulla dai comandi normali Shimano. Sono solo un po’ più ingombranti sia in altezza che in larghezza, ma questo non risulta un problema, anzi il feeling potrà anche essere migliore per chi ha mani grandi. Fermo restando che le distanze leve-manubrio sono le medesime dei comandi standard, quindi nessun problema anche per chi ha mani piccole. Anche la distanza delle leva rimane regolabile a 10mm. Per quanto riguarda le pinze, come detto, sono praticamente le stesse montate coi comandi DI2, con pistoncini in ceramica da 22mm opposti. Il corpo è forgiato e presenta le alette di raffreddamento. I dischi sono i FREEZA da 140mm centerlock con tecnologia Ice-Tech che si usano anche in mtb. In questo articolo sul magazine cugino potrete ragguagliarvi in merito. La sostanza non cambia, anche se per un giudizio ci riserviamo un futuro test con altri dischi non Ice-Tech. Nella pratica, come potete vedere dalle foto, il tutto è stato montato con quick-release standard, niente perni passanti, su ruote Shimano RX830. Il funzionamento di questo impianto è sempre stato impeccabile. Solo sfiorando le leve si ha una frenata potente ed aggressiva, senza essere troppo brusca. La modulabilità resta ottima, basta solo ricordarsi di sfiorare leggermente le leve. Senza entrare nel merito delle solite discussioni pro o contro i freni a disco, con questo impianto anche chi è abituato a discese sempre a freni tirati (invece che frenando a staccate come si dovrebbe) si troverà a suo agio, visto che...

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Il futuro delle bici è nel titanio?

  Bikelife, Materiali • di Omar Gatti Meno diffuso del trittico acciaio – fibra di carbonio – alluminio, il titanio raccoglie consensi sempre più ampi, nonostante la pecca di una lavorazione tutt’altro che semplice. Un materiale dal nome altisonante (derivato da una figura della mitologia greca), dal costo non proprio accessibile ma dalle strabilianti qualità meccaniche. Chi l’ha provato racconta di una bici leggera come l’alluminio, scattante e robusta come l’acciaio e performante e resistente come la fibra di carbonio. Sarà capace di scalzare il composito oppure si attesterà come quarta scelta, magari per ciclisti estrosi o particolarmente affascinati dalle novità? Cos’è e come viene utilizzato Il titanio non è un minerale reperibile liberamente in natura, bensì viene ricavato tramite procedimenti chimici da un minerale denominato ilmenite, dove l’elemento titanio è legato a minerali di ferro. Attraverso procedimenti chimici con acidi cloridrico prima e solforico poi, il titanio viene liberato dalla lega con il ferro e si presenta puro e lavorabile. Ci è voluto più di un secolo per “trovare una quadra” per l’estrazione del titanio dall’ilmenite e ancora oggi rimane un procedimento molto costoso. Dopo la reazione con gli acidi si ottiene il tetracloruro di Titanio, che viene fatto reagire con il magnesio per ottenere una sorta di spugna, che attraverso procedimenti metallurgici viene “additivata” con altri minerali per aumentarne le caratteristiche di resistenza meccanica, dando vita alle leghe di titanio, che si differenziano dal titanio puro poiché legate con altri minerali come il Vanadio. La sua applicazione nel campo ciclistico risale agli anni ’70, contemporanea alle prove con i prototipi in alluminio, elemento con il quale condivide alcune caratteristiche di leggerezza. Il titanio commercialmente si presenta in gradi, ovvero differenti leghe che partono dal materiale allo stato più puro a quello legato con altri elementi. In breve i gradi del titanio sono: • Grado 1: il più puro esistente. E’ facilmente formabile e possiede elevatissima resistenza alla corrosione; • Grado 2: il più utilizzato nell’industria, condivide con il grado 1 la forte resistenza alla corrosione ma si presenta più resistente alle sollecitazioni meccaniche; • Grado 3: dedicato soprattutto all’aeronautica; • Grado 4: il più resistente meccanicamente tra i gradi di titanio puro; • Grado 5: lega di titanio e vanadio, ha un coefficiente di rottura molto elevato ma una duttilità più bassa, che lo rende difficile da lavorare alle macchine utensili, nonostante una buona saldabilità che lo rende idoneo all’utilizzo in ambito ciclistico; • Grado 7: si tratta di una lega di titanio con minerali di palladio, che permette di raggiungere caratteristiche meccaniche e chimiche simili a quelle del grado 2, aumentando la sua saldabilità, per questo è il più usato nel mondo delle biciclette, anche per via della facilità di reperimento sul mercato; • Grado 9: detto anche 3Al – 2,5V, poiché formato da un 2.5% di vanadio è una lega facilmente saldabile, con un carico di rottura (ovvero la massima forza in grado di romperla) molto alta e un’elevata resistenza alla corrosione ed è la lega più utilizzata in ambito ciclistico;   La realizzazione di un telaio in titanio è molto particolare e necessita di apparecchiature specifiche. Infatti questo materiale è molto difficile da lavorare alle macchine utensili, per via della sua durezza, e richiede elevate coppie e numeri di giri. Inoltre la sgolatura e la preparazione dei tubi deve essere fatta a mano, poiché lavorarlo con mole o tagliatubi meccanici ne comprometterebbe le caratteristiche. La sua elevata saldabilità (soprattutto del grado 9) è soggetta all’influenza dell’ossigeno, azoto e idrogeno presente nell’aria. Durante la saldatura il titanio si riscalda e diventa molto reattivo con gli...

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BICICLETTE BARTALI: un po di storia

Era il 1949 e la nutrita schiera di tifosi del Ginettaccio (soprannome di Gino Bartali) si divise in due fazioni: chi fù contento nell’apprendere che Bartali si era messo in proprio con la sua squadra personale e chi per tutta la futura carriera del toscano gli recriminò il fatto di aver buttato al vento l’appoggio tecnico di una potenza come la Legnano. Ma la storia volle che Gino in accordo con i F.lli Santamaria di Novi Ligure si mise in testa di produrre biciclette col proprio nome, e che per sponsorizzare l’avventura imprenditoriale doveva assolutamente fondare una squadra che corresse col proprio nome e con le proprie biciclette. Erano gli inizi degli anni 50, Bartali era già avanti con l’età, Coppi era nettamente più giovane e scalpitante inoltre la Bianchi gli poteva garantire i migliori strumenti per conquistare la vittoria, la Checca, l’ammiraglia della Bianchi scortava Fausto e i suoi formidabili gregari erano il simbolo del ciclismo moderno… Bartali, invece, con i Santamaria dovette accontentarsi di una squadra più modesta e una gestione vecchio stampo, ultimi barlumi di ciclismo eroico e sincero, un caso fra tutti fu la scelta, pazza, di adottare il cambio Cervino prodotto dai Nieddu di Torino, un cambio macchinoso e sorpassato che nella sostanza riprendeva il vecchio Super Champion, Coppi invece aveva a disposizione il meglio sulla piazza il Simplex Tour de France, il primo cambio moderno a doppia puleggia, preciso e veloce. Ciò nonostante Gino, dette filo da torcere a Coppi e alla sua Bianchi… in molte occasioni… dalla polvere spuntava il suo nasone a tagliare il traguardo, anche in manifestazioni importanti.. questo era Gino! testo tratto da www.biciclassiche.com Follow...

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