Ciclismo e integrazione alimentare

 articolo tratto da: www.bikeitalia.it   di Omar Gatti Uno degli argomenti più discussi tra i ciclisti è sicuramente l’integrazione alimentare. Una diffusa confusione di fondo, unita a leggende metropolitane sugli effetti di questo o quell’elemento, portano spesso i biker a cimentarsi in modo totalmente autonomo, senza approfondire e soprattutto senza conoscere il nesso tra integrazione e prestazione sportiva. Sull’argomento sono stati scritti tomi scientifici di parecchie migliaia di pagine, nei quali si spiega in maniera tecnica le interconnessioni tra i nutrienti assimilati e il loro lavoro a favore del nostro organismo. Con questo breve articolo non possiamo certo pretendere di riassumere né di eguagliare il livello tecnico di quei trattati, però speriamo di portare un po’ di luce nel nebuloso mondo dell’integrazione alimentare sportiva. Ovviamente le considerazioni che leggerete non hanno carattere medico e non intendono sostituirsi al parere degli specialisti, a quali vi consiglio sempre di rivolgervi, evitando deleteri “fai da te”     Integrazione deriva appunto da “integrare”, ovvero colmare ove vi siano lacune. Già questo dovrebbe farvi capire una cosa basilare: l’integrazione è un “di più” che si assume per aiutare il nostro corpo durante la performance o per accelerare il recupero ma non è la bacchetta magica che vi farà andare più forte senza allenarvi. Il 99% del fabbisogno alimentare che il nostro organismo richiede per lavorare al meglio deve essere introdotto con un’alimentazione sana, curata e dedicata, poi l’integrazione arriverà a chiudere i vuoti lasciati dall’intesa attività sportiva. Non è plausibile ammazzarsi di cibo da fast food e poi prendere due pilloline di ginseng e pensare di ottenere risultati degni di questo nome. L’integrazione non vi farà andare più forte, non vi farà sentire meno la fatica o aumenterà la vostra prontezza su terreni sconnessi. L’integrazione non aumenta né migliora le prestazioni sportive, semplicemente aiuta a fornire quei nutrienti che sono richiesti in un dato momento e che l’alimentazione da sola non può apportare. Quando parlo con i miei amici biker, alcuni di loro guardano con sospetto l’integrazione, giudicandola maligna per l’organismo. In effetti assumere delle pillole per poter andare in bicicletta può apparire controverso e farci assomigliare ai quei ciclisti professionisti tristemente famosi per essere stati colpiti dai controlli antidoping. C’è però una differenza ben precisa tra l’integrazione alimentare e il doping. Nel primo caso noi stiamo assumendo nutrienti, lavorati partendo da prodotti naturali come latte (nel caso delle proteine o degli amminoacidi), caffè (integratori di caffeina), frutta (integratori vitaminici o carboidrati). Nel secondo caso si tratta invece di prodotti chimici di sintesi, elaborati in laboratori specializzati e che come tutti i farmaci hanno profondi effetti collaterali. L’integrazione apporta nutrienti, il doping altera le caratteristiche chimico-fisiche delle cellule, provocando un netto miglioramento delle prestazioni ma con costi in termini di qualità della vita a volte devastanti. Basti vedere i numerosi esempi di atleti di resistenza (maratoneti, marciatori, ciclisti di endurance) che hanno dichiarato di aver fatto uso di doping durante la loro carriera e che ora, seppur ancora giovani, soffrono di problemi di cuore, diabete, fegato, malattie di cui uno sportivo degno di questo nome non dovrebbe soffrire. Per cui l’integrazione, se certificata dalle autorità competenti, è sana e vantaggiosa per il nostro organismo. Se acquistate i prodotti per l’integrazione alimentare in negozi autorizzati, non avete di che aver paura. Credere che gli integratori alimentari siano esattamente uguali al doping è un po’ come credere alla leggenda delle caramelle con dentro la droga che mia mamma mi esortava a non prendere dagli sconosciuti. Durante l’attività fisica il nostro fisico consuma i nutrienti necessari (glicogeno, zuccheri, proteine, vitamine, minerali) per produrre energia. Quando i...

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L’overtraining

La programmazione del recupero per prevenire l’overtraining A cura del Dott. Marco Siffi articolo tratto da:www.my-personaltrainer.it L’overtraining è uno squilibrio dell’allenamento che si verifica quando l’attività fisica praticata è troppo intensa, tanto che l’organismo non riesce, nei tempi di recupero, a eliminare la fatica accumulata. Questo squilibrio adattativo, conosciuto anche come sovrallenamento, provoca un continuo stato di stress psicofisico, che culmina nella staleness syndrome (rifiuto di allenarsi), danneggiando le prestazioni atletiche e rendendo più vulnerabile l’organismo a eventuali infezioni. E’possibile ritenere che un atleta incapace di recupero completo entro le 72 ore dall’impegno fisico massimale sia affetto da sindrome da sovrallenamento.(7)(5) L’overtaining è un fenomeno capace di colpire oltre il 65% degli atleti nel corso della loro carriera competitiva.(6)(8)   Alcuni sintomi dell’overtraining comprendono:   Performance ripetutamente scadenti non spiegabili Sensazione di affaticamento, dolori muscolari, depressione; Aumentata vulnerabilità alle infezioni e disturbi gastrointestinali; Disturbi del sonno e perdita di peso; Lesioni da sovraccarico; Aumento della frequenza cardiaca a riposo e della pressione arteriosa; Variazioni dell’ematocrito; Modificazioni del tasso di emoglobina; Diminuzione del livello di testosterone; Modificazione del rapporto testosterone/cortisolo a favore di quest’ultimo.   Quando un atleta professionista va in sovrallenamento, il problema deve essere immediatamente individuato e affrontato, per evitare di mettere in pericolo la stagione agonistica. Sebbene queste situazioni si riscontrino principalmente negli atleti agonisti, non è infrequente osservarle anche fra gli sportivi amatoriali e gli appassionati di fitness che si allenano duramente. Esistono alcuni parametri metabolici frequenti nell’overtraning, come l’aumento della ceruloplasmina, dell’urea e CPK. Negli atleti di endurance è presente lieve anemia, leucopenia, deficit di ferro, ridotta albumina sierica, ipoglicemia, ipotrigliceridemia, LDL e VLDL basse, aumento dei livelli plasmatici di noradrenalina, con diminuita escrezione basale di catecolamine. E’ possibile effettuare alcuni test di laboratorio per la diagnosi del sovrallenamento, come ad esempio la ricerca della concentrazione della glutammina sierica, che diminuisce costantemente nell’overtraning, oppure il dosaggio delle IgA salivari, considerato il miglior marker dello stato immunitario alterato, la velocità di sedimentazione, il tasso delle gammaglobuline, il contenuto in CK e di magnesio.(1)(2)(3) Un altro fattore molto importante da considerare è quello psicologico; infatti l’allenamento troppo intenso può indurre l’atleta a sensazioni di inadeguatezza, scoraggiamento fino alla depressione ed alla sindrome di stanchezza cronica. Per questo risultano utili test capaci di misurare lo stato psicologico e il livello dell’umore.(6) Concludendo in linea di massima, alla base di quasi tutti i fenomeni di overtraining c’è un errato dosaggio del rapporto fra intensità degli allenamenti e recupero. Nel caso di atleti agonisti però, i rischi possono derivare anche dai calendari di gara, dall’errata pianificazione della stagione sportiva e dallo stile di vita: mancanza di sonno, stress ripetuti, errori alimentari possono creare i presupposti per determinare l’insorgenza della sindrome. La programmazione del recupero per prevenire l’overtraining L’incremento razionale dei carichi di lavoro provoca modificazioni funzionali positive, cioè la cosiddetta supercompensazione. Tuttavia spesso gli elevati volumi e intensità degli allenamenti attuali, ai quali si aggiunge un numero crescente di gare, pongono a tutti coloro che devono programmare l’allenamento problemi rilevanti, specialmente per quanto riguarda un rapporto ottimale tra carichi di allenamento e di gara. Quando si parla di misure di recupero occorre distinguere le misure passive, nelle quali l’atleta viene sottoposto a interventi quali fisioterapia, idroterapia, termoterapia, elettrostimolazione e agopuntura, da quelle attive, in cui l’atleta pratica lavoro aerobico leggero, allungamento muscolare, training autogeno. Il recupero tra diverse frequenze e unità d’allenamento e dopo una gara dovrebbe essere svolto attraverso pause che permettano il completo ristabilirsi dell’organismo. Troppo spesso, invece, l’alternarsi degli impegni e dei recuperi viene sottovalutato, inducendo il manifestarsi dei fenomeni di fatica e sovrallenamento. La pianificazione di...

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Anno nuovo sella nuova

dopo aver capito l’importanza della distanza delle protuberanze ischiatiche ed aver scoperto come misurarla ( vedi articolo: https://www.rialbike.com/magicpower/misura-ossa-ischiatriche-per-la-scelta-della-sella/) questa mattina mi sono misurato le ossa ischiatiche  e dopo aver recuperato  la giusta larghezza della sella sono andato immediatamente a comprare la nuova sella.   DISTANZA OSSA ISCHIATICHE < 11cm = sella stretta (130mm – 143 mm) 11cm – 13cm = sella media (143mm – 155mm) >13cm  = sella larga (oltre 155mm)   La mia scelta é caduta sulla sella CUBE  Natural Fit RACE EXC -larghezza 135 mm (s) per un peso di 308 gr.   Una volta montata ho voluto fare subito un breve test ( 20 km) e anche se non é stato un vero e proprio test di collaudo posso tranquilamente affermare che la sella é velluto. Devo ancora centrare il posizionamento ma sono assolutamente soddisfatto. Le vibrazioni generate dal manto stradale vengono totalmente assorbite dalla sella o  meglio dal gel di cui é composta la copertura. Il fastidio ed indolonzimento delle ossa sacrali é sparito e la seduta la trovo confortevole senza pressioni alla zona prostatica. Insomma anche se il peso (308 gr) non la fa schierare tra le leggerissime il confort la rende la mia sella preferita al momento.   Follow...

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Selle Infinity N-Series, L-Series e C-Series

articcolo tratto da: bikemtb.net La sella Infinity è una delle selle più bizzarre che si siano mai viste, una linea abbastanza standard e minimale, che però si distingue dalle altre per l’ampia apertura centrale. Quello che era partito come un progetto sulla piattaforma kickstarter, si è dimostrato subito un successo e dopo ulteriori perfezionamenti è entrata ora in commercio, sarà disponibile in tre tipologie: N-Series, L-Series e C-Series, quest’ultima ancora in attesa di essere rilasciata.   L’azienda ha spiegato che l’idea della Infinity era quella di attenuare la pressione delle ossa ischiatriche per arrivare ad una distribuzione più uniforme della pressione, questa nuova sella promette comfort e prestazioni anche nelle lunghe maratone, grazie anche alla sua flessibilità ed è ideale per la maggior parte delle tipologie corporee, pur avendo un peso abbastanza leggero.   La Infinity N-Series è quella più minimalista e anche la meno costosa fra le tre (170 $) con un peso di 210 gr, ha una sede in nylon stampato e con binari in acciaio di colore nero, oro, cromo e rame, è disponibile per ora solo in colore nero ma altri ne saranno previsti entro quest’anno.   Utilizzando lo stesso design della N-Series, la Infinity L-Series aggiunge un rivestimento in pelle con un po’ di imbottitura e un piccolo sostegno nella zona centrale, anche in questo caso è disponibile con binari in più colori e rivestimento in marrone chiaro, nero, bianco, rosso e blu, il prezzo è di 240 $.   La versione top di gamma Infinity C-Series invece deve essere ancora rilasciata e avrà il rivestimento in fibra di carbonio con binari in titanio, il prezzo è di 340 $. Ora l’azienda sta offrendo fino alla fine dell’anno, uno sconto di 25 $ su qualsiasi ordine, con il codice “XMAS25”, come ulteriore incentivo a provare le selle Infinity. Maggiori info: www.infinitybikeseat.com Follow...

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Biomeccanica in sella: le ossa ischiatiche

 di Omar Gatti    Tra i vari componenti della bicicletta, la sella spesso non viene considerata nell’ambito del rapporto tra il ciclista e il suo mezzo. Ci si concentra sulle dentatura delle corone, sulla forma del manubrio, sulla leggerezza dell’attacco ma spesso la scelta della sella è relegata al grado di morbidezza o, nella peggiore delle ipotesi, al colore che deve essere in tinta con quello del telaio. In questo articolo invece vedremo quali sono le caratteristiche corporee e biomeccaniche che influenzano direttamente la scelta della sella adatta a noi, in modo da raggiungere un grado di ergonomia davvero elevato e adatto alle proprie esigenza. La sella è uno dei tre punti (insieme a manubrio e pedali) di contatto tra il ciclista e il suo mezzo e deve essere scelto con cura. Perché ci concentriamo sulla forma del manubrio o sulla resistenza dei perni dei pedali e non sul supporto che la sella deve darci? Questa ha infatti il compito di supportare il bacino del ciclista e donare stabilità all’intera corporatura. Partiamo da una base di anatomia: il bacino è una struttura ossea collegata all’osso sacro (termine ultimo della colonna vertebrale), al coccige e ai femori (attraverso la connessione con il gran trocantere, che dà vita all’articolazione dell’anca). La parte inferiore del bacino presenta due estremità arrotondate e cave all’interno: le ossa (o tuberosità) ischiatiche. Sono queste le ossa che poggiano effettivamente sulla sella. Quando noi sediamo in sella, le tuberosità si adagiano e si allargano, sostenendo il peso di tutto il tronco superiore. Quindi la prima cosa da capire è che la sella deve adattarsi alla misura delle nostre ossa ischiatiche e soprattutto alla distanza che corre tra di loro. Più sono distanti maggiore sarà la larghezza di sella necessaria per sostenerle. Utilizzando una sella troppo stretta le ossa ischiatiche “scivolerebbero” verso l’esterno, offrendo poco supporto al bacino e ai muscoli lombari, con la comparsa di dolori che potrebbero sfociare in una vera e propria tecnopatia: la lombalgia. Ora però, è tempo di sfatare un mito (forse uno dei più longevi nella storia del ciclismo): la larghezza della sella in base al sesso del ciclista. Per decenni si è sempre creduto che le donne presentassero ossa ischiatiche più distanti tra loro per via del bacino più largo, strutturato per supportare lo sforzo del parto. Per questo si consigliavano selle “strette” agli uomini e “larghe” alle donne. Quest’anno la casa produttrice Selle Royal ha commissionato uno studio molto interessante, che ha letteralmente fatto a pezzi questo mito. Ha infatti richiesto al prof. Frobose dell’Università dello Sport di Colonia (Germania) di realizzare un test per verificare se esista o meno una relazione tra il sesso e la distanza tra le tuberosità ischiatiche delle persone. Il team del professore ha effettuato la misurazione su un campione di 120 uomini e 120 donne di diversa età e di diversa estrazione ciclistica e per poi valutare l’effettiva distribuzione per sesso ed età delle distanze rilevate. Dalle prove è emerso che la media per gli uomini è di 11,8cm di distanza e quella tra le donne è di 13,04cm. E quindi che c’è di diverso, direte voi? Lasciamo perdere per un attimo le medie e le statistiche e concentriamoci sui singoli casi: ci sono uomini con distanza elevata e donne con ossa ischiatiche ravvicinate, e sono tanti. Infatti è impossibile pensare che un determinato stile di sella vada bene per tutta la categoria di ciclisti uomini e un tipo più largo si adatti a tutti i bacini delle utenti femminili. Non esistono persone perfettamente “nella media”, con un altezza definita, lunghezza di gamba identica,...

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