COME PEDALARE : DIVENTARE UN DISCESISTA


Anche se il maltempo, almeno dalle mie parti, continua ad imperversare la stagione ciclistica é ormai aperta e stabilito che ho intenzione di affrontare un po di bellesalite ho sentito l’esigenza di capire un po meglio come si affrontano le successive discese. Come sempre girovagando su internet ho trovato questo simpatico articolo che con bonaria semplicità propone una serie di utili consigli su come affrontare in sicurezza le discese. Per molti potranno sembrare banali o quantomeno cose già conosciute …in ogni caso credo un ripassino sia sempre utile. La caduta é sempre dietro l’angolo.

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L’articolo é stato pubblicato su “la bicicletta” ed é stato scritto da Carlo Turchetto e Nicola Nicoletti.

Non è vero che affrontare una discesa sia più facile che superare una salita. Anzi! Sveliamo tanti importanti piccoli segreti.I tipi di discesaPer prima cosa ci pare opportuno analizzare quali sono i diversi tipi di discesa che si possono incontrare nel corso di una granfondo. Il Passo dell’Agnello dal versante francese (granfondo Fausto Coppi) è, ad esempio, un terreno completamente diverso da un Passo Fedaia dal versante veneto di Caprile (Maratona delle Dolomiti). Schematizzando, potremmo allora parlare di: 1) discese veloci e vertiginose, da alte velocità, come ad esempio il Passo Fedaia verso Caprile; 2) discese tortuose e ripide come il Passo Giau verso Selva di Cadore; 3) percorsi pedalabili come il Colle della Maddalena dal versante italiano.Nel primo caso sarà determinante la capacità di… non frenare e di controllare il mezzo alle alte velocità. Nel secondo, sarà molto importante disporre di una buona tecnica nella gestione delle curve e, in particolar modo, dei tornanti. Infine, nell’ultimo caso, bisognerà disporre anche di buone gambe e buon peso per poter lanciare la bici e mantenere una velocità elevata. Insomma, come si può ben vedere, ogni terreno richiede delle capacità ben specifiche, talvolta non sempre presenti nel corridore. Ma non bisogna rassegnarsi: per ogni situazione è possibile correre ai ripari in vario modo per aumentare le proprie prestazioni. Prima di entrare nel dettaglio delle possibili soluzioni è necessario effettuare una dovuta premessa: una gran fondo non è certo una gara di professionisti, quindi nessuno dovrebbe minimamente pensare di imitare i vari Chiappucci e Pantani.Innanzitutto perché nel loro caso le strade sono chiuse al traffico, mentre in una granfondo sono quasi sempre aperte e, anche nel caso ci fosse qualche tratto chiuso, non si tratta mai di una chiusura “perfetta”, tale da fidarsi di “tagliare le curve”, come nelle corse dei professionisti; in secondo luogo, perché se chi corre per lavoro può, almeno teoricamente, assumersi certi rischi, di certo chi corre per passione dovrebbe sempre e in ogni caso avere la piena padronanza del proprio mezzo in qualsiasi momento. L’obiettivo dunque è quello di procedere più velocemente possibile ma sempre e comunque nel pieno controllo della propria bicicletta e, soprattutto, in completa sicurezza.Discesista consapevole

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Dovremmo quindi parlare sempre di “discesista consapevole”. Non avrebbe senso sostenere di essere un grande discesista solamente perché, per incoscienza, si “tagliano” tutte le curve. Questa impostazione potrebbe portare a pericolose conseguenze, magari anche dopo decine di esperienze in cui la si è fatta franca. Il vero discesista è dunque quello che conosce perfettamente i limiti di sicurezza ed evita accuratamente di spingersi al di là di questi.

Un esempio potrebbe essere a questo proposito molto significativo. All’inizio ero semplicemente uno spericolato senza alcuna conoscenza e una volta caddi su un tornante in porfido scendendo dal Pordoi semplicemente perché, pedalando anche in curva, avevo toccato con il pedale sull’asfalto, facendo scivolare la bici a terra. Si tratta di una regola banalissima che tutti conoscono: eppure io, novello ciclista agli inizi della “carriera”, non l’avevo minimamente presa in considerazione. Per fortuna l’ho scoperta presto e senza gravi conseguenze, al di là di qualche sbucciatura!

 

Quali tecniche

Nel caso delle picchiate veloci, è fondamentale saper gestire la velocità. Una discesa come il Passo Fedaia permette al ciclista di raggiungere velocità più che “automobilistiche”, e quindi il “pilota” deve essere in grado di mantenere il perfetto controllo del suo mezzo. A titolo d’esempio ricordiamo che Stefano Nicoletti, proprio nel corso dell’ultima Maratona delle Dolomiti, ha registrato, lungo la discesa del passo Fedaia, una velocità superiore ai 100 km/h.

 

A pack of riders cycles during the second stage of the Tour de France cycling race from Brussels to Spa

Ma come mantenere la stabilità in questi casi? Molto importante è la posizione del corpo sulla bici. Chi è abituato a queste corse dirà che semplicemente cerca di acquisire velocità nel più breve tempo possibile per poi assumere una posizione aerodinamica, quasi schiacciando tutto il corpo sul telaio. Il peso deve comunque rimanere equamente distribuito tra i pedali e la sella: il fatto di “appoggiarsi” bene anche sui pedali permette di abbassare il baricentro del complesso uomo-bicicletta e superare più facilmente le eventuali asperità del terreno.

 

Presa ben salda sul manubrio

Importantissimo, comunque, è mantenere una presa ben salda sul manubrio in modo da poter sostenere anche eventuali salti causati da buche o avvallamenti.

Ricordiamo comunque che non è mai bene stringere con troppa forza il manubrio, perché i muscoli delle braccia, sottoposti ad una inutile tensione, potrebbero iniziare a tremare innescando sulla bici pericolose vibrazioni. Per quanto riguarda invece le discese tortuose, entra in gioco la capacità di curvare e frenare nel modo più … veloce possibile. Su terreni affollati di tornanti e curve strette le possibilità di prendere velocità sono alquanto limitate: in questi casi occorre piuttosto cercare di scendere nel modo più “fluido” possibile, evitando le frenate troppo brusche. La regola è allora innanzitutto quella di abituarsi a frenare sempre “prima” della curva e mai “durante”, onde evitare pericoli di sbandamenti.

 

La traiettoria

In secondo luogo è molto importante curare la traiettoria. È evidente che, per chi percorre queste strade aperte al traffico, è impensabile tagliare tutte le curve come fanno i professionisti. La scelta del tracciato rimane dunque sempre nell’ambito della propria corsia o, meglio, del centro della propria corsia, visto che questo dovrebbe essere il punto di riferimento. Nelle curve a destra bisognerebbe cercare di impostare la traiettoria partendo dal centro della strada e chiudendo il tornante in modo da non dover allargare mai verso la corsia opposta. Al contrario, nei tornanti a sinistra, bisognerebbe partire dall’estremo destro per “tagliare” verso metà la curva e mantenere comunque in uscita una traiettoria accettabile. Solo nel caso di tornanti “a vista”, ove dall’alto si possa vedere un buon tratto di strada e prevedere con sicurezza il traffico presente, è possibile pensare da professionisti e “pennellare” traiettorie a tutto campo.

GRUPPO IN DISCESA

Ricordiamoci comunque che quest’ultima è sempre una soluzione ad altissimo rischio. Un discorso a parte merita invece l’uscita dalle curve. Chi ha assistito a gare professionistiche, avrà notato che i primi spesso si alzano in uscita dai tornanti per aumentare la velocità. Questo sistema è in effetti molto redditizio e, a tal fine, bisognerebbe “alleggerire” il rapporto di uno o due denti prima della frenata, in modo da poter rilanciare la velocità con più facilità in uscita dal tornante. Attenzione comunque a non pedalare durante la curva: il pedale potrebbe toccare il terreno e, facendo perno, spingervi in un baleno a gambe all’aria. Buona prudenza sarà dunque quella di smettere di pedalare all’ingresso della curva e mantenere al punto morto superiore la pedivella posta nella parte interna della curva. Per coloro che affrontano le curve ad alta velocità può essere d’aiuto anche sporgere in fuori il ginocchio, sempre all’interno della curva, per dare più stabilità al mezzo. Ma non esagerate: non avete una moto!

 

L’ultima categoria: la discesa da… pedalare. 

L’esempio forse più eclatante è la lunga picchiata finale dal Colle della Maddalena a Cuneo, quasi 50 chilometri di discesa che spesso si risolvono in un vero e proprio massacro per i muscoli già lungamente provati. In effetti, in questi tratti bisognerebbe avere tanta energia per pedalare, visto che le curve sono quasi inesistenti e la pendenza “scarseggia”. Per i passisti questo è il terreno ideale (finalmente) per esprimere tutte le proprie caratteristiche e rifarsi sugli scalatori. Se appartenete al primo gruppo non vi resta dunque che distendervi sul vostro mezzo e iniziare la lunga cavalcata finale. Se invece siete dei camosci da salita, o più semplicemente siete stanchi e non ce la fate più, allora sarà il caso di usare un po’ di tattica.

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La prima regola dovrebbe essere quella di evitare assolutamente di rimanere da soli, vi stanchereste inutilmente in un tratto per voi massacrante. Meglio quindi guardarvi intorno una volta arrivati sulla cima e magari attendere un gruppo numeroso che vi possa fare da traino fino all’arrivo. Una volta identificati i compagni di avventura cercate di non mollarli mai, attaccatevi alle loro ruote e non abbandonatele a costo di soffrire più che in salita. Dover affrontare la discesa allo scoperto infatti vi costringerebbe a sforzi ancora più pesanti e la velocità che potreste permettervi sarebbe sicuramente più bassa. Per mantenere la scia in discesa può essere utile non vestirsi troppo e in particolare evitare indumenti “svolazzanti”.

 

Un discorso generale, valido per ogni discesa, riguarda i sorpassi. Soprattutto nelle prime salite della corsa potrebbe capitarvi di imbattervi in “lumaconi” incapaci di procedere in discesa a velocità normale. Ecco allora la necessità di operare numerosi sorpassi. Come fare? La regola generale dovrebbe essere quella di passare sempre e comunque a sinistra, “prendendosi” un adeguato spazio di sicurezza. In genere il punto più favorevole per il sorpasso è il rettilineo, ma talvolta bisogna ricorrere anche ai tornanti e alle curve. Importante è mantenere sempre un margine di sicurezza e, se lo ritenete necessario, non esitate a gridare o fischiare comunicando le vostre intenzioni a chi sta davanti a voi. Non dimenticate che le bici non dispongono di specchietti retrovisori e quindi chi sta davanti non ha modo di rendersi conto delle intenzioni di chi sta dietro.

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Vincere la paura

Qualcuno potrebbe sostenere di essere, vuoi per paura, vuoi per costituzione fisica, negato per la discesa e rinunciare per questo alla competizione. Ci permettiamo di dissentire da questa impostazione, innanzitutto perché questa presunta “incapacità” dovrebbe essere verificata nella pratica, e poi perché è sempre possibile migliorare notevolmente e vincere le proprie paure con semplici accorgimenti.

Non si chiede certo di lanciarsi a testa bassa e occhi chiusi giù dalle montagne, ma semplicemente di acquisire quella sicurezza che consente di divertirsi in ogni terreno, apprezzando anche questo aspetto delle due ruote. Insomma, non vorremmo mai sentire un ciclista lamentarsi di non potersi recare sullo Stelvio perché poi dovrebbe affrontare quasi 30 km di dura e tortuosa discesa!

Come abbiamo già detto, nel corso di una discesa può essere molto utile sfruttare la scia di altri corridori per aumentare la propria velocità, specialmente se vi sono molti tratti in rettilineo e non si dispone di un gran peso. Ma non si tratta solo di una questione aerodinamica: seguire da vicino (senza esagerare) un altro ciclista può essere anche un modo per osservare i movimenti di chi vi sta davanti e scoprire in anticipo le caratteristiche della strada. Può anche darsi che il nostro ciclista sia fondamentalmente timoroso e impaurito dalla velocità che il proprio mezzo può assumere in certe condizioni. In questi casi si tratta, il più delle volte, di un problema psicologico, che può essere combattuto con qualche trucchetto. Innanzitutto bisognerebbe evitare di guardare troppo spesso il contachilometri: a molti capita di impaurirsi senza ragione, non tanto per la reale situazione, quanto per quello che si legge sul tachimetro. In altri casi, invece, può essere proprio la sensazione di velocità data da aria e vento a convincerci a rallentare.

 

Mascherare il corpo

In queste situazioni può essere utile “mascherare” il corpo il più possibile in modo tale da ridurre completamente questa sensazione di velocità: occhiali, berretto, guanti e casco sono elementi che aiutano a isolare il ciclista dall’esterno e quindi a dimenticarsi di eventuali alte velocità. Ma non bisogna nemmeno scordarsi il prodigioso effetto dell’abitudine: chi si trova a viaggiare spesso ad alte velocità, per forza di cose finisce per assuefarsi a questa situazione e a non dargli più molta importanza. Un sistema può essere quello di viaggiare un po’ in moto o in motorino: l’abitudine all’aria che fischia e al vento, stando comunque sempre su due ruote, dovrebbe aiutare ad aumentare non di poco la sensazione di sicurezza una volta tornati in sella.

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In quanto alla paura di non riuscire a fermarsi in tempo, è vero che la bici non ha gli stessi freni di un’automobile, ma è altrettanto vero che il sistema frenante che ha, rapportato al peso del mezzo, è più che sufficiente: tutto dipende da come viene usato. Tenete presente che insistere con troppa forza sul freno posteriore causerà sicuramente lo slittamento della ruota, con possibilità di cadere. Al contrario, un corretto uso del freno anteriore vi permetterà di rallentare o fermarvi in uno spazio assai ristretto: questo chiaramente in condizioni normali, perché in caso di strada bagnata o di grosse buche, la prudenza non è mai troppa.

Teniamo presente, inoltre, il “fattore allenamento”: così come nessuno ormai può prescindere da un buon sistema di allenamento per affrontare adeguatamente la salita, allo stesso modo non si può pensare di poter “volare” in discesa senza essersi preparati prima.

Scegliete all’inizio una strada larga, con poche curve, poca pendenza e, soprattutto, poco traffico, e abituatevi a frenare, controllando bene lo spazio di frenata. Poi passate a strade via via sempre più pendenti e con sempre più curve e tornanti e “giocate” con la vostra specialissima, immaginandovi situazioni di pericolo o ostacoli improvvisi; sarà assai utile percorrere anche qualche tratto di sterrato per non essere colti alla sprovvista da qualche, frequente, “lavori in corso” nel bel mezzo di una gara. Una volta presa confidenza, verrà il momento di affrontare anche alcune discese molto trafficate per abituarvi ai sorpassi: nelle strade strette e con molte curve è molto facile che voi, in bici, riusciate a tenere una velocità ben maggiore a quella di un normale e “prudente” automobilista. Ricordatevi che il sorpasso di un’auto va preparato per tempo, dopo aver studiato bene le abitudini dell’automobilista; ad esempio, se l’autista che vi precede accelera molto in uscita dalle curve, quello non sarà certo il posto migliore per effettuare la vostra manovra. Infine, chi avesse proprio problemi delle… “vertigini” o “paure insormontabili” e disponesse di auto al seguito, potrebbe anche risolvere il problema cambiando la bici (lo fanno anche i professionisti, nel corso delle cronometro) una volta arrivato in cima alla salita e utilizzare per la discesa una massiccia mountain bike con copertoni larghi e tassellati, in grado di assicurare una stabilità “motociclistica”.

 

Gli imprevisti sul terreno

Fate sempre molta attenzione al fondo stradale una buca potrebbe disarcionarvi mandandovi in breve “al tappeto”. Non è necessario correre come forsennati per incorrere in questi problemi, talvolta una semplice distrazione può avere effetti ugualmente dannosi.

Insidiose possono essere anche eventuali grate presenti sul terreno. Specialmente quando si percorrono strade nuove con pendenze elevate, è possibile trovare lungo il selciato pericolose grate disposte nello stesso senso di marcia. Il più delle volte la larghezza delle fessure è superiore allo spessore del pneumatico della bici e, se non si attraversano di sbieco, è facile restare incastrati: se capita con la ruota posteriore di solito si rimedia al massimo la lacerazione di copertura e camera d’aria, ma se succede con quella anteriore si può venir catapultati in aria. Un esempio si trova nei paesini che si attraversano scendendo dal Col de l’Agnello, in Francia. Ebbene, anche in questi casi il ciclista può salvarsi in extremis ricorrendo alla dovuta esperienza: frenare sarebbe del tutto inutile, molto meglio è lavorare sulla direzione invece che sulla velocità, perché una grata affrontata nel senso di marcia a 5 km all’ora potrebbe comunque distruggere la ruota o farci cadere, mentre a 60 km all’ora una grata può essere completamente innocua se affrontata non esattamente in linea, dunque modificando il proprio corso di marcia.

 

Gallerie e forature

Altri pericoli vengono dalle gallerie. L’Italia, a questo proposito, non si trova certo all’avanguardia, presentando numerose strade di montagna con gallerie non illuminate, a volte con un manto stradale rovinato dall’acqua che cola dalle volte e quindi pieno di buche. L’ideale è senz’altro quello di conoscere questi tunnel e dunque i tragitti migliori per superarli indenni.

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Se ciò non fosse possibile, è opportuno prepararsi in anticipo: innanzitutto è buona idea quella di togliersi gli occhiali da sole e magari chiudere un occhio poco prima di entrare nella galleria. In questo modo la pupilla si aprirà leggermente permettendo di evitare quel fastidioso fenomeno di quasi cecità nei primi metri di ingresso in galleria, quando si passa dalla luce all’oscurità. Ma oltre alla vista sarà buona cura dedicare attenzione alle mani, rafforzando la presa sul manubrio in modo tale da poter assorbire anche eventuali improvvisi ostacoli. Comunque occorre precisare che in genere, nel corso delle granfondo, le gallerie sono quasi sempre dotate di impianti di illuminazione ad hoc. Addirittura nella Campagnolo, in prossimità di alcune gallerie nella Val Schener, i corridori erano “scortati” da motociclisti dotati di potenti sistemi di illuminazione. Un pericolo non molto frequente, ma da non sottovalutare, sono le macchie di olio sull’asfalto: quando vedete macchie scure sul terreno, evitate di passarci sopra, e se proprio vi rendete conto di essere su una chiazza d’olio, evitate di frenare, aspettando di esserne fuori. Un situazione analoga può essere causata, col caldo della piena estate, dall’asfalto gettato da poco, che tende a liquefarsi.

Una foratura è sempre un bel guaio, ma nel corso di una discesa, mentre si corre ad alta velocità, trovarsi improvvisamente con la ruota sgonfia, magari sollecitati anche dalle asperità del terreno, può causare pericolosi sbandamenti del nostro mezzo. Molto dipende dalla capacità di reazione del ciclista, ma anche dal suo lavoro di “prevenzione”. Frenare in continuazione, non curare lo stato dei propri tubolari o copertoncini, utilizzare una pressione ridotta, sono tutti fenomeni che sicuramente aumentano il logoramento delle proprie coperture. Una adeguata cura preventiva quindi è d’obbligo. Se poi capitasse la foratura, allora è il caso di mantenere la calma e di evitare improvvise frenate o cambi di direzione: una bici non è una macchina e dunque può benissimo fermarsi lentamente anche con una ruota forata, anche se è quella anteriore.

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Piuttosto, ci preme avvisare i nostri lettori di evitare inutili forzature come quella di Olano nel corso del mondiale in Colombia: continuare in discesa con una gomma danneggiata significherebbe correre rischi inutili e magari coinvolgere anche qualche altro ciclista.

Meglio fermarsi e procedere alle dovute sistemazioni del proprio mezzo.

 

articolo pubblicato su “La Bicicletta”, 

di Carlo Turchetto e Nicola Nicoletti      www.cycling.it

 

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