COME PEDALARE


articolo pubblicato su “La Bicicletta”, agosto 1998

di Fulvio Lo Monaco

CYCLING.IT 

 

Volete migliorare il vostro modo di andare in bicicletta? Ecco cosa vi può insegnare chi sulla specialissima ci va per mestiere. E ricordate che c’è anche qualcosa che è meglio non imparare!

I professionisti rappresentano da sempre, nel ciclismo, il vertice di una scala di valori al quale tende anche il più giovane dei praticanti che abbia provato a salire in sella a una bicicletta da corsa. In altre parole, il corridore professionista è un modello a cui ispirarsi per la scelta del mezzo meccanico, per il modo di vestirsi, per le tecniche di allenamento e di gara, per le diete alimentari, per il ricorso al controllo e all’assistenza medica. Questo non vuol dire, naturalmente, che un signore che abbia scoperto la specialissima a quarant’anni e vada in bici soltanto la domenica, debba per forza di cose rinunciare a una cena elaborata e a un dopocena particolare, regolandosi esattamente come un professionista alla vigilia di una gara di Coppa del Mondo. Ma è fuor di dubbio che quello stesso signore può trarre vantaggio nell’apprendere dal corridore di professione, ad esempio, il modo corretto di frenare, di alzarsi sui pedali, di affrontare una curva. Tutti i praticanti possono imparare qualcosa dai professionisti, cioè apprendere una serie di scelte, di gesti, di passaggi trasferibili con profitto anche nelle attività amatoriali. Questo servizio è quindi dedicato a una disamina dei mezzi e delle attività professionali e a un confronto con le realtà amatoriali che sono numericamente le più consistenti dell’intero settore. Appare inutile un riferimento alle categorie federali vere e proprie, poiché si tratta di corridori inquadrati in società ciclistiche con l’obbligo del direttore sportivo, che si avvalgono di una scuola propedeutica all’“università” rappresentata dai professionisti.

 

Cominciamo dalla bicicletta…

Cominciando dalla “macchina” cioè dalla bicicletta, si può affermare che non esiste una specialissima da professionista che non possa essere acquistata dal comune appassionato. Se si vuole la Bianchi di Pantani, la Colnago di Tonkov o la bici di qualunque altro campione del pedale, esse sono commercializzate dalle ditte costruttrici e sono identiche a quelle fornite alle squadre e utilizzate dai corridori. Solo nel caso in cui si tratta di prototipi in fase di sperimentazione più o meno avanzata, bisogna attendere i tempi tecnici occorrenti alla produzione, per passare dagli esemplari testati dai corridori ai numeri molto più consistenti pretesi dal mercato. Questo vale non tanto per la bici completa, quanto per alcune delle parti che la compongono, come il telaio o alcuni particolari del gruppo di componenti. Per ricordare un esempio relativamente recente, i sistemi cambio Campagnolo e Shimano a 9 velocità sono arrivati in negozio alcuni mesi dopo rispetto ai primi gruppi forniti ai professionisti.

Restando, quindi, in argomento, per quanto attiene la specialissima, si può scoprire che i corridori usano attualmente ruote tradizionali assemblate in officina e ruote speciali da confezione, cerchi piatti e cerchi a medio e alto profilo. A livello di telai si corre, inoltre, con strutture in acciaio e in titanio, in alluminio e in carbonio. Ci sono, poi le squadre che adottano l’equipaggiamento Campagnolo e le squadre che scelgono i gruppi Shimano, chi sceglie i pedali Time e chi si serve dei componenti Look, team che adottano i copertoncini e squadre che usano i tubolari.

Si parla tuttavia sempre e comunque di specialissime, e il professionismo attesta la felice coesistenza di differenti tecnologie. Per effettuare una scelta occorre dunque documentarsi, tenendo presente che esistono comunque alcune importanti marche di biciclette che non sono rappresentate attualmente a livello professionistico solamente per scelte aziendali.

 

L’importante è lo stile

Seguire una corsa in televisione insegna a scoprire il modo corretto di stare in sella e il modo corretto di pedalare. Ma attenzione. Nel gruppo eterogeneo dei corridori c’è chi possiede un atteggiamento e una pedalata esemplari e chi, al contrario, non può essere preso come esempio, sotto questo aspetto, pur essendo un professionista affermato. Il campione da imitare va dunque scelto in rapporto allo stile che non offre mai controindicazioni e il più delle volte corrisponde al rendimento atletico. Va quindi ricordato che il bacino, il busto, il capo e le spalle non devono assolutamente accompagnare il colpo di pedale. Tali movimenti non solo sono infruttuosi per l’avanzamento della bici, ma addirittura consumano un’energia che altrimenti è capitalizzata dagli arti inferiori. Un grande professionista muove soltanto le gambe attraverso le articolazioni della caviglia, del ginocchio e dell’anca, appoggiandosi per il resto in modo morbido ma vigile e attento sul manubrio.

Al riguardo della posizione va invece osservato che nella norma i professionisti sono pronunciatamente chini sul manubrio, a causa della maggiore penetrazione aerodinamica che tale postura comporta e in ragione del massimo reddito prodotto da questo esasperato raccoglimento in macchina. Va da sé che questa posizione potrà essere copiata, entro limiti ragionevoli, dai cicloamatori impegnati in gare brevi e veloci. Gli appassionati delle granfondo e i cicloturisti dovranno invece regolare sia l’altezza del manubrio sullo sterzo, sia la lunghezza dell’attacco, in modo soggettivamente più prudente, ricordando che un manubrio da corsa dispone di almeno tre posizioni di massima – alto centrale, sulle leve di comando e sui terminali dei corni – che possono essere vantaggiosamente alternate in manifestazioni ciclistiche di elevato chilometraggio.

A proposito dell’altezza della sella rispetto al pedaliere, c’è inoltre una regola di base che va comunque osservata: la gamba non deve stendersi completamente nell’economia dinamica della pedalata. Questo vuol dire che il ginocchio deve essere leggermente flesso quando il piede si trova al punto morto inferiore e vale a dire alla massima distanza dall’appoggio di sella. Questo angolo formato dalla gamba e dalla coscia è naturalmente più o meno pronunciato da corridore a corridore, discende da abitudini radicate o da atteggiamenti congeniti e resta quindi un fatto personale. È comunque interessante scoprire che non pochi professionisti scelgono una posizione di sella lievemente ribassata, nelle lunghe gare a tappe come il Tour o il Giro d’Italia. Allo stesso tempo utilizzano telai con piantone maggiormente inclinato a fronte delle strutture più verticali destinate alle gare in linea particolarmente nervose.

 

L’uso dei rapporti

Ma i professionisti possono insegnare anche una cosa fondamentale che riguarda il regime di pedalata e chiama in causa, di conseguenza, l’uso dei rapporti. Osservando i corridori in una gara importante ripresa dalla televisione, ma ancora meglio rivisitando tale trasmissione se si è avuta l’accortezza di registrarla, provate a focalizzare la velocità delle gambe dei corridori nelle fasi finali della corsa e, idealmente, se il gruppo è compatto e si prevede una conclusione in volata. Ebbene, i corridori viaggiano a velocità molto elevata, spesso vicina o al di sopra dei 60 chilometri orari, spingono combinazioni da rapporto lunghissimo, tipo 53×13-12-11 e, soprattutto, girano vorticosamente le pedivelle intorno alle 100 e più rivoluzioni al minuto. In altre parole, in questo gesto deve leggersi una verità che è qualche volta trascurata, e molto spesso confusa o travisata tra gli appassionati del pedale, i quali dedicano tuttavia, proprio all’uso del rapporto, le interminabili discussioni da veloclub o da bar dello sport. I professionisti dimostrano, in questa fase convulsa della corsa, una straordinaria agilità, senza la quale non si potrebbe parlare di velocità o di potenza che sono termini altrettanto noti nella tecnica ciclistica.

 

L’importanza dell’agilità

L’agilità è quindi la qualità più importante della pedalata e deve essere sempre commisurata all’uso del rapporto, tenendo come punto fermo che si può stabilire un regime medio della pedalata che è valido in ogni occasione. In pianura si attesta tra le 80-100 rivoluzioni al minuto e in salita non dovrebbe scendere al di sotto dei 50-60 colpi di pedale. Di conseguenza, si può genericamente osservare, andando a scuola dai professionisti, che il rapporto giusto è quello che soggettivamente si riesce a spingere rispettando tali regimi di massima. Viaggiando al di sotto dei termini di agilità che si sono indicati, presumibilmente perché si usa un rapporto eccessivamente lungo nei confronti dell’altimetria o del grado di preparazione, la pedalata si appesantisce, scade la velocità e quindi il valore prestativo. I cicloamatori maggiormente preparati ricorderanno, ad esempio, che la grande agilità dimostrata da Miguel Indurain

nelle prove più importanti della carriera, si era appannata nel finale della sua vita atletica insieme alle sue prestazioni. Il grande Indurain rispondeva agli scatti degli avversari senza scomporsi, con esemplari progressioni in salita. L’ultimo Indurain, invece, si alzava sui pedali, cercando di surrogare con un rapporto più lungo, senza altrettanto successo, l’agilità che con il tempo e l’usura era diminuita.

 

L’arte di saper “scendere”

I francesi definiscono “en danseuse” questo atto specifico che in gergo viene chiamato “fuorisella”. Si tratta sempre e comunque di una pratica utile all’economia del ciclismo. Il fuorisella serve a sgranchirsi le gambe e questa è solo l’applicazione più elementare. Ma in fuorisella viaggia spesso lo scalatore puro, di taglia piccola e leggera, per superare una salita con l’intento di fiaccare gli avversari. E al fuorisella ricorre qualunque ciclista per vincere un’altimetria accentuata, per rilanciare la velocità altrimenti scaduta, per eseguire uno scatto vigoroso, per entrare sulla ruota di un avversario che ha iniziato una fuga. Quasi sempre in fuorisella si conduce una volata fino a pochi metri dal traguardo, prima di raccogliersi per il colpo di reni.

Questa azione, che comporta evidentemente il sollevamento del corpo, come si trattasse di una corsa a piedi, è naturalmente più dispendiosa in termini di energia profusa, rispetto alla normale posizione del ciclista che svolge il suo lavoro stando… seduto. Il fuorisella va quindi praticato con giudizio e, soprattutto, con misura, tenendo presente che pedalare in piedi comporta una maggiore accelerazione cardiaca e una crisi più facile del respiro.

Andando a scuola dai professionisti si scopre che esiste uno stile personale anche nella esecuzione del fuorisella. Ad esempio, Marco Pantani impugna il manubrio sui corni, mentre la presa forse più naturale per il fuorisella è a cavallo tra le leve di comando e i freni. Nel gruppo dei corridori c’è, pertanto, chi riesce a essere elegante alzandosi sui pedali e chi sbanda paurosamente il telaio tra le gambe, e ciondola il capo sul manubrio, anche quando non si tratta di una fase convulsa della corsa. Sotto il profilo dello stile, il ciclista che affronta una lunga salita praticando il fuorisella a fasi alternate, a piombo della pedaliera, con il corpo che oscilla da una banda all’altra della bici sempre perpendicolare alla strada, offre in effetti quella immagine di ballo, di danza sui pedali, evocata dai francesi. Seguire la telecronaca “no stop” di una importante gara di professionisti insegna, poi, alcuni meccanismi che sono validi per chiunque vada in bici da corsa a prescindere dal campo di attività e dalle personali ambizioni. Tra questi gesti si ricorda l’accortezza di spostare il corpo all’indietro quando si affronta una discesa impegnativa. La manovra serve a caricare di peso la ruota motrice alleggerendo al contempo l’avantreno, con il risultato di contrastare eventuali sbandamenti da frenata del carro posteriore, di avere maggiore libertà di sterzo e di evitare un ribaltamento in avanti indotto dalla marcata efficacia del freno anteriore.

Sempre parlando di discesa va inoltre rilevato che occorre frenare prima della curva e mai durante il raggio di questa, inclinando poi contestualmente, e sempre nello stesso verso, il corpo e la bici. Attenzione, però, alle traiettorie. I corridori, quando sono anche bravi discesisti, si tengono nella norma a centro strada, quindi si allargano sulla estrema destra o sulla estrema sinistra, cioè sempre dalla parte opposta al verso della curva, prima di tagliarla a compasso con una sola arcata. Ebbene, questo è possibile nel professionismo in cui le corse beneficiano di una notevole organizzazione e quindi di strade effettivamente chiuse al traffico. Ma un cicloturista non potrà mai copiare la traiettoria di un corridore, viaggiando contromano, con tutte le conseguenze che la cosa comporta. Invadere la corsia opposta della strada è, d’altra parte, da evitare anche nelle corse amatoriali, che non sempre si avvalgono di una assistenza efficiente e non possono pertanto offrire totale sicurezza.

Resta quindi il modo di “tagliare” una curva che è appunto quello insegnato dai professionisti. Nella sfera amatoriale si può dire che il gesto può essere copiato parzialmente, tagliando le curve a sinistra senza superare la linea di mezzeria, prendendo spazio a centro strada e, traffico permettendo, prima di affrontare una curva destra.

 

Parliamo di tattica

I cicloamatori possono naturalmente imparare dai professionisti una serie di accorgimenti e di trucchi che funzionano anche nelle gare minori. Cerchiamo allora di vedere almeno una parte di questa didattica, quella parte che ha una valenza costante, diciamo un valore di massima, ricordando però che il ciclismo è, per nostra fortuna, oltre che regola, anche fantasia e invenzione.

Lo scatto è, ad esempio, una fase particolare e a volte decisiva in qualunque competizione. Lo scatto deve innanzitutto sorprendere gli avversari, e per questo non deve mai essere avviato in testa di gruppo, ma sempre da una posizione relativamente arretrata. Lo scatto, inoltre, deve essere “secco”, cioè rapido e improvviso, in modo da creare subito un vuoto. Va effettuato sui pedali, cioè in fuorisella, e con tutta la potenza di cui si è capaci. È quindi importante partire con il rapporto giusto, ovvero con un rapporto che non richieda troppo tempo per essere lanciato. Questo tempo eccessivo, che sarebbe nel caso improduttivo in termini di velocità immediata, darebbe agli antagonisti l’opportunità di reagire. È dunque meglio lanciarsi con un dente in più alla ruota libera, e scalare subito dopo per aumentare il distacco, anziché restare troppo sui pedali, allertando così gli avversari, anche quelli meno pronti a rispondere all’iniziativa.

Questa particolare scelta del rapporto chiama in causa, per analogia, anche le manifestazioni che si corrono su un circuito ricco di curve strette da ripetere più volte. Arrivare sulla curva con un rapporto troppo lungo significa ripartire con difficoltà, dopo la indispensabile frenata, perdendo molto spesso la posizione che si era a fatica conquistata. La meccanica giusta consiste, invece, nel frenare prima della virata, alleggerendo contestualmente il rapporto, in modo da accelerare prontamente una volta superata la fase di rallentamento. Poi si scalerà progressivamente sulla ruota libera, usando il cambio di velocità esattamente come avviene nello sport motoristico.

 

La volata

E veniamo ai “meccanismi” della volata, che sono forse più frequenti nella sfera amatoriale di quanto non siano tra i professionisti. Va innanzitutto ricordato il dovere della “freddezza”, essenzialmente per non iniziare la progressione a una distanza eccessiva dal traguardo, con il rischio di trovarsi troppo presto al vento e di essere superati a pochi metri dalla linea. Il gioco di squadra tanto diffuso tra i corridori di professione, sia nelle fughe sia in volata, è inoltre difficilmente praticato tra i cicloamatori che si distinguono, al contrario, per la individualità più esasperata. Occorre allora giocarsi la volata senza attendersi favori, conquistando la ruota migliore da seguire prima di uscire allo scoperto. In quest’ultima fase, che è quella decisiva, bisognerebbe chiudere idealmente l’estrema destra o l’estrema sinistra della strada, rasentando le transenne o la banchina. Tale accorgimento è importantissimo perché offre la possibilità di guardarsi dagli avversari soltanto da una parte, l’unica restata libera per una rimonta e un eventuale sorpasso.

Il professionismo ci offre poi situazioni continue di corridori disposti in fila indiana, l’uno a ruota dell’altro, nelle fughe, negli inseguimenti, nelle accelerazioni esasperate, nei casi di forte vento contrario, nelle fasi finali della competizione. E la cronaca ci fornisce, per di più, la prova che la gara è vinta molto spesso dal corridore che è riuscito a risparmiare le forze restando sulle ruote, a dispetto di chi, magari più forte e preparato, si è prodigato nell’azione in modo eccessivamente generoso. I professionisti possono quindi insegnare ai cicloamatori il modo di gestirsi, ad esempio in una fuga, sui cambi alla guida. Il gioco è naturalmente sottile e non si può pretendere di saltare il turno al comando, così come è da giudicare “suicida” sobbarcarsi l’intero carico della fuga rimanendo costantemente in testa. Qui bisogna decidere di volta in volta servendosi, perché no, anche della esperienza riflessa, cioè della memoria di quanto si è visto in televisione nelle gare dei professionisti.

Ma “turnarsi al vento” è una pratica conveniente anche a livello cicloturistico e in particolare per un piccolo gruppo di amici. Mentre nelle competizioni i cambi alla guida sono molto frequenti per tenere alta la velocità (3-400 metri e anche meno), nel ciclismo meno agonistico si possono stabilire dei turni più lunghi usando un riferimento sicuro. A questo scopo si possono usare le pietre miliari chiedendo il cambio ogni due chilometri, oppure regolando il ciclocomputer sulla funzione chilometrica che permette di rispettare, se vogliamo più scientificamente, la turnazione preventivamente stabilita.

 

Gli apparecchi “di bordo”

I professionisti fanno scuola anche per l’uso di due “apparecchi di bordo”, il ciclocomputer e il cardiofrequenzimetro. Il primo è entrato universalmente nell’uso amatoriale, il secondo è in continua espansione anche tra chi si regala una bici da corsa per puro divertimento. Mentre appare ovvio rappresentare il vantaggio di leggere sul computer di bordo la velocità e il chilometraggio, la media oraria oppure le pedalate/ minuto, è forse utile ricordare che il cardiofrequenzimetro è uno strumento raccomandabile almeno per due ragioni tra loro diverse. Innanzitutto è una spia funzionale e, a seconda dell’età e della salute dell’utente, non è poi sbagliato tenere d’occhio anche il regime del cuore, quando si dà per scontata l’osservazione scrupolosa della bicicletta. Lo strumento risponde, poi, agli appassionati di maggiori ambizioni per lo stesso motivo per cui è usato, in allenamento e in gara, dai professionisti. La scienza moderna ha infatti dimostrato che il regime cardiaco è in stretta relazione con la capacità prestativa. Questo vuol dire, semplificando al massimo l’argomento, che al di sotto di alcune frequenze non si verificano integrazioni apprezzabili nella preparazione atletica, mentre al di sopra di taluni valori di regime, si incorre in un rapido affaticamento muscolare indotto dalla produzione dell’acido lattico.

 

Cosa non bisogna imparare

E concludiamo l’argomento con il ricordare alcuni gesti e passaggi dei professionisti che, al contrario di quanto osservato fino a questo punto, non rappresentano un insegnamento e sono quindi da evitare. I corridori di professione sono costretti a prendere i rifornimenti al volo, dalle ammiraglie o dai meccanici fermi con le sacchette al margine della strada; i professionisti indossano e dismettono la mantellina, le soprascarpe, il casco (molti pro, ahinoi, non lo usano), i manicotti e altri indumenti, sempre senza smontare di sella; non è inoltre raro che i corridori tolgano entrambe le mani dal manubrio, si massaggino le gambe, facciano lo stretching, sempre durante la corsa; infine, in quanto all’esigenza di fare pipì, si tratta sempre di non lasciare i pedali, con la sola accortezza di portarsi in coda al gruppo per espletare la funzione.

Tutte queste manovre sono estremamente pericolose, hanno caratteristiche acrobatiche, rappresentano molto spesso la indispensabilità connaturata a una competizione che dura molte ore, hanno procurato e purtroppo procurano nel gruppo non poche cadute. A questo riguardo non c’è quindi nulla da apprendere dai professionisti: meglio restare… dilettanti!

 

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