Allenamento bici: diaframma e respirazione diaframmatica

articolo tratto da: www.strada.bicilive.it Non tutti sanno quanto la respirazione diaframmatica sia importante in un gesto atletico e nella vita di tutti i giorni. La respirazione è soggetta ad adattamenti e quindi allenabile. Il livello di efficienza di ogni nostro singolo allenamento è in costante crescita, grazie alle sempre nuove tecnologie che ci permettono di monitorare nel dettaglio ogni singolo input-output del nostro corpo: frequenza cardiaca, cadenza, potenza, velocità, consumo di ossigeno ecc.. Siamo immersi nei dati a tal punto che ormai le sessioni di allenamento sono più simili a dei problemi di algebra e rischiano di farci perdere consapevolezza del nostro corpo, portandoci a trascurare quelle che sono le funzioni organiche di base, come la respirazione. Questo articolo ha lo scopo di introdurre un distretto corporeo, fondamentale per l’allenamento in bici, di cui tratterò nel dettaglio con i prossimi articoli. Il muscolo motore della respirazione è il diaframma. Un grande segmento muscolare a forma di cupola che ha un decorso trasversale. Immaginate che il corpo sia un palazzo, una struttura che si sviluppa verticalmente ma che ha bisogno di rinforzi trasversali (orizzontali) per essere stabile. I diaframmi nel corpo, come i piani di un palazzo, sono diversi, ma quello che di più ci interessa in questo momento è il diaframma toracico. Per dare un’idea dell’importanza di questo settore corporeo vi riporto una frase che Still, padre dell’osteopatia, disse a riguardo: “Per mezzo mio vivete e per mezzo mio morite. Nelle mani ho potere di vita e morte, imparate a conoscermi e siate sereni”. Still Andrew Taylor Anatomia del diaframma Embriologicamente il diaframma nasce ben lontano dal basso torace.Ha origine dal tratto cervicale per poi migrare e fissarsi sull’ultima costa e le prime vertebre lombari, con una forma a cupola che risale fino a metà torace circa. Nella sua migrazione embrionale si “porta dietro” il nervo frenico da cui è innervato e anch’esso ha origine cervicale. Il diaframma toracico, separando il tratto toracico da quello addominale, prende contatti diretti o indiretti con strutture corporee vitali. Cuore, polmoni, fegato, stomaco, intestino, esofago, colonna vertebrale, arteria aorta e un nervo fondamentale per il corretto funzionamento del sistema neurovegetativo: il nervo vago. Regola inoltre le pressioni addominali diventando uno stabilizzatore del “core”. Questo fa intendere quanto le parole di Still siano reali. Gli atti respiratori al minuto, in condizioni di riposo, sono circa 10-12, ma durante sforzi intensi possono arrivare fino a 35-40. Pensate quanti problemi possono insorgere in caso di “mal funzionamento” di questo muscolo semivolontario che ripete un gesto 15 volte al minuto, 24 ore al giorno! Potrebbe instaurarsi una catena di eventi che andrebbe a influenzare tutto il sistema, dalla digestione alla postura, dai dolori alla cervicale a tutti i problemi collegati al sistema neurovegetativo. Potete quindi immaginare quanto un corretto funzionamento del diaframma possa influire sulla prestazione sportiva. Il diaframma toracico è il principale inspiratore ma è supportato da altri muscoli accessori all’inspirazione che dovrebbero essere attivati nei casi di inspirazione forzata. Questo è quello che dovrebbe succedere nella fisiologia. Nell’inspirazione il diaframma si abbassa, lasciando spazio ai polmoni per immagazzinare aria, andando a mobilitare anche gli organi sottostanti come se premesse su una spugna, migliorandone quindi il metabolismo e funzionamento. Nei bambini si nota bene questa respirazione diaframmatica. Ad ogni inspirazione la pancia si gonfia e la parte superiore del torace si muove leggermente. Ma con la crescita molte persone si “dimenticano come si respira”. Spesso tra gli adulti si nota una respirazione toracica alta. Significa che vengono utilizzati principalmente i muscoli accessori all’inspirazione e il diaframma passa ad avere un ruolo secondario. Chiamandosi appunto “accessori” sono...

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LE BASI DELL’ALLENAMENTO DA PROFESSIONSTI

Questa pagina,  è un tributo al grande campione di Ciclismo  Bernard Hinault che,  forse unico tra i grandi,  ha trovato tempo e voglia per mettere a disposizione di tutti i Cicloamatori la sua esperienza di campione del mondo. La lettura di questa pagina fa trasparire con chiarezza che i concetti esposti sono stati in gran parte vissuti sulla bicicletta, in particolare quando si fa riferimento alle sensazioni che avverte il Ciclista quando passa da uno stadio di fatica a quello successivo. Il testo che segue è la fedele trasposizione  del capitolo relativo all’allenamento tratto da ‘Road Racing: Technique and Training Bernard Hinault and Claude Genzling (Authors). Per facilitare la non facile lettura,  i concetti più importanti sono stati esposti in forma tabellare, ma nessun contenuto è stato alterato rispetto al testo originale. Buona Lettura articolo tratto da: www.ciclistaurbano.net *** Il Ciclismo è uno degli sport in cui l’allenamento procura a colui che lo compie con passione il più ampio margine di progresso a causa del ruolo importante che ha il raggiungimento di una tecnica molto particolare: la pedalata. Ma anche perché nel Ciclismo su strada devono essere molto sviluppate le doti di fondo. L’espressione “doti di fondo” è usata per comodità ma più avanti verrà scomposta per precisare i diversi tipi di sforzo a cui è sottoposto il Ciclista. Le grandi gare ciclistiche arrivano a 250 km e oltre e il Ciclista deve imparare ad essere capace di pedalare anche più di otto ore. Uno dei problemi che si pongono al corridore, ma non solo quello è quello di “Tenere la distanza”. Tenere la distanza: ecco una frase che ricorda il metodo più antico conosciuto per valutare l’allenamento di un Ciclista, cioè la contabilizzazione del numero di chilometri percorsi, in ogni uscita e in totale, durante un periodo determinato. I Chilometri percorsi danno una prima indicazione sul grado di forma di un corridore, ma ciò è vero soltanto se il  corridore sa allenarsi e che compie le distanze all’inizio della stagione secondo un programma prestabilito. Si stima che servono a un corridore ciclista tra 2000 e 3000 km chilometri per iniziare ad essere nuovamente competitivo dopo la pausa invernale senza gare anche se ciò non significa una interruzione di ogni attività fisica e sportiva. Se il risultato dei 2000 o 3000 km percorsi fossero fatti alla velocità uniforme di 25 km ora il risultato sarebbe molto mediocre. Infatti, il corridore non effettua i citati chilometri sempre con lo stesso tipo di allenamento. Egli si comporta come chi guida una auto  nuova da rodare. Man mano che il motore si sblocca  l’automobilista aumenta la velocità di crociera, alterna i regimi, operando spunti di velocità, prima nelle discese (allo scopo di non chiedere agli organi in movimento un lavoro eccessivo mentre gli attriti sono ancora importanti) e successivamente in pianura. Nulla di più sbagliato che forzare un motore ancora “legato” facendo una salita in quarta senza aver preso slancio, come tutti sanno. Il ciclista esperto che riprende la strada a metà gennaio e che conosce le reazioni del proprio corpo, si comporta in analogia al citato Automobilista: non soltanto aumenta gradualmente l’andatura ad ogni uscita ma compie spunti di velocità sempre più sostenuti allo scopo di ritrovare la sua capacità di scattare ripetutamente e di resistere, da solo in fuga. Il numero di chilometri percorsi è inadatto a definire un programma di allenamento ma resta utile  per memorizzare le uscite: il libretto tradizionale sul quale il Ciclista riporta le distanze percorse durante la settimana merita sempre di essere fatto ma dovrebbe essere completato con i tipi di sforzi fatti e le...

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Perchè PEDALARE AGILE conviene?

In questi giorni  si sente solo parlare di Froome e del suo “buffo” modo di pedalare e dei sospetti di doping o quantaltro. Documentandomi sull’argomento ho trovato questo articolo che affronta l’argomento scientificamente  e che credo possa dare almeno alcune risposte a tutti quelli che pensano che ci sia qual’cosa sotto. La fisica non é un’opinione. L’articolo é stato tratto da: www.aegsporting.com …Ce lo dicevano da bambini, quando alle prime pedalate fatte in bici da bordo strada ti urlavano <vai agile!> e qualcuno ci aggiungeva pure <…e mangia>. Il motivo di tali raccomandazioni?Nessuno se lo chiedeva: lo facevi e basta. Lo dicono ancora oggi i vecchi “saggi” del ciclismo, che quando si parla di preparazione alle corse basandosi solamente sull’esperienza e non sulla scienza, si raccomandano di iniziare d’inverno <con un mese di agilità. Guai, sino alle feste di Natale, mettere il 53!>. Le ragioni tecniche di questa proposta di allenamento? Non le hanno mai spiegate, ma <così si faceva una volta> e secondo loro così dovremmo fare anche oggi. Lo raccontava qualche tempo fa anche “Il” grande saggio del ciclismo italiano, Alfredo Martini: <il “rapportone” è come una cambiale: tu usalo pure, ma prima o poi la paghi!> Lo ripetono continuamente in televisione i commentatori delle corse professionistiche, Davide Cassani in testa: <quell’atleta lì se aumentasse la sua cadenza media di pedalata in salita di almeno 15 rpm, avrebbe dei grandi margini di miglioramento>. La verità è poi però che continuiamo a vedere atleti vincere, pur spingendo rapporti lunghissimi. Dove sta dunque la verità? Quali sono i motivi tecnici per cui uno dovrebbe scegliere di pedalare agile oppure duro?   IL CONTRIBUTO DELLA SCIENZA E DI UNA EQUIPE MOLTO PREPARATA Una risposta molto chiara e tecnicamente ineccepibile riesce a darla, anche con illustrazioni illuminanti, il prof. Mattia Michelusi nel volume OBIETTIVI, TIPOLOGIE E MEZZI DI ALLENAMENTO NEL CICLISMO MODERNO (Casa editrice Calzetti e Mariucci 2013), scritto in collaborazione con alcuni tecnici (tutti molto giovani e molto bravi) di ciclismo, coordinati dal prof. Fabrizio Tacchino, direttore responsabile del Coach Team Assistant (www.coachreality.blogspot.it), nostra vecchia conoscenza in quanto nel Girobio – Giro ciclistico d’Italia Under 27 da noi organizzato dal 2009 è stato per due anni coordinatore dello Staff Scientifico che seguiva gli atleti in gara. Una premessa d’obbligo: tutto ciò che vi diremo, possiamo dimostrarvi che ha valenza scientifica grazie al fatto che a fine anni ’80 è stato inventato il misuratore di potenza (in origine il famoso SRM (www.srm.de), oggi disponibile anche sotto altre forme, conosciute come POWERTAP (www.powertap.com) o per esempio il nuovissimo GARMIN VECTOR (http://sites.garmin.com/vector/?lang=it&country=IT) il quale oggi ci consente di misurare ogni tipo di gesto pedalato e ricavarne parametri, valori, potenzialità, grazie alla possibilità di scaricare grafici sul nostro computer. Cosa che non era possibile ai famosi “vecchi saggi”, che pur senza strumenti tecnici, con l’intuito avevano già capito molto, se non tutto del gesto pedalato.       COSA SONO LA FORZA E LA POTENZA? Innanzitutto partiamo da due definizioni che ci sono indispensabili per svelare il nostro rebus sulla convenienza dell’andare agili o duri sui pedali.     Cos’è la FORZA? La forza muscolare è quella capacità motoria che permette di vincere una resistenza (per esempio la resistenza della catena che, agganciata agli ingranaggi della guarnitura, non vorrebbe farci abbassare la pedivella verso il basso…) ed a questa si oppone tramite la tensione di una parte della muscolatura. Nel nostro caso, in gran parte, della muscolatura delle gambe (ovviamente coadiuvata dalla schiena, glutei, busto in genere, ma in parte minore). Come viene erogata da noi che pedaliamo? Semplice, coniugando una forza (N) di spinta (da parte della...

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Come allenarsi quando si ha poco tempo a disposizione?

Molti ciclisti hanno il problema di aver poco tempo a disposizione e quindi si pongono il problema di come rendere più efficaci le uscite brevi.     Il protocollo Tabata (dal nome del suo ideatore) richiede infatti solo quattro minuti di massima intensità. Che cosa puoi realizzare in soli quattro minuti di allenamento massimale? Molto più di ciò che credi! Tutto quello che devi fare è ovviamente dare il massimo in questo breve lasso di tempo. Meglio ancora, invece di compiere uno sforzo continuativo per quattro minuti, si pedala alla massima potenza ed intensità per brevi intervalli, spaziati temporalmente da altrettanti intervalli di recupero  tali da permettere di ripetere lo scatto senza evidenti declini nella prestazione (sempre dal punto di vista della potenza espressa) Quale è lo scopo di questi quattro minuti di sessione massimale? Rafforzare sia capacità aerobiche che anaerobiche simultaneamente, aumentare la tolleranza alla fatica, e migliorare quindi direttamente la prestazione nel ciclismo in maniera duplice. La metodica allenante che ho appena introdotto è nota come il protocollo Tabata. Trae il nome proprio dal Dott.Izumi Tabata, un ex ricercatore presso l’Istituto Nazionale Giappone del fitness e dello sport di Kanoya, che ha imparato, appreso, e applicato le sue ricerche come allenatore della nazionale giapponese di pattinaggio di velocità. In particolare, questo specifico allenamento si compone di sei/otto sprint di massima intensità della durata di 20 secondi a testa, con soli 10 secondi di recupero passivo tra di loro. La sessione è così impegnativa ed intensa che la maggior parte degli atleti (professionisti) che praticavano pattinaggio di velocità e che sono stati i primi ad applicare questo lavoro specifico riuscivano a completare non più di sei/sette intervalli. Solo un numero limitato riusciva a fare otto ripetizioni. Per Tabata interesse primario della ricerca è stato l’influenza dell’intensità sulla prestazione. Attraverso il suo lavoro è venuto a ritenere che l’ INTENSITA’ dell’allenamento è tanto importante quanto, se non più importante, della DURATA. Così, quando venne a conoscenza che stava per essere provato un allenamento che richiedeva 2 minuti e 40 secondi di massima intensità di lavoro netto inseriti in un periodo di soli quattro minuti (per coloro che completavano otto intervalli), è rimasto incuriosito ed ha voluto approfondire la teoria e la metodologia alla base di questo allenamento.         Per testare gli effetti di questo allenamento Tabata ha prima trasferito questo allenamento dal pattinaggio di velocità alla bicicletta, in particolare su ergometri stazionari. Poi si è servito di un primo gruppo di atleti e ha fatto eseguire il protocollo con cinque allenamenti alla settimana, per sei settimane totali. All’inizio e alla fine del periodo di studio Tabata ed il suo team ha misurato VO2max (massimo consumo d’ossigeno) e la capacità anaerobica di tutti i soggetti. Per fornire una base di confronto Tabata ha condotto un secondo esperimento in cui un gruppo di controllo (ovviamente altri atleti) pedalavano su ergometri stazionari per un’ora, ad una intensità moderata (70% del VO2max) cinque giorni alla settimana, sempre per sei settimane totali. Ovviamente anche per questi soggetti vennero misurati VO2max e la loro capacità anaerobica. I risultati sono stati impressionanti. I soggetti che avevano seguito un allenamento a moderata intensità di esercizio avevano avuto un miglioramento del loro VO2max di circa il 9,5%, mentre la loro capacità anaerobica non era migliorata affatto. I soggetti allenati secondo il protocollo ad intervalli alla loro massima intensità (Tabata), nonostante l’esercizio complessivo avesse una durata di soli 20 minuti a settimana rispetto alle cinque ore alla settimana per l’altro gruppo, hanno migliorato il loro VO2max del 14% e la loro capacità anaerobica addirittura del 28%...

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cosa succede quando smettiamo di allenarci per qualche giorno?

Dopo i due malori che ho avuto per il grande caldo afoso mi sono volutamente fermato in attesa di temperature migliori. Ma cosa succede quando ti fermi per qualche giorno? A questo proposito mi sono messo alla ricerca su internet ed ho trovato questo articolo  del Dr. Roberto Massa che mi é sembrato utile ed esaustivo. – Cosa accade quando non ci alleniamo per x giorni? – Come mantenere il livello di fitness raggiunto? Tutti ci preoccupiamo di intoppi e pause che tolgano uno degli elementi basilari e fondamentali per l’allenamento, ossia la continuità dello stimolo allenante/carico. Riprendere dopo una sosta volontaria o peggio involontaria sembra sempre uno scoglio superiore rispetto al raggiungere una condizione costante e in questo c’è un fondo di verità. Piccola parentesi, consiglio di non pianificare soste superiori a 10-15  giorni anche per questo motivo: inevitabilmente nel corso della stagione vi saranno altre pause, programmate ma spesso no, che riducono il significato di una pausa programmata più dilatata. Tecnicamente una fase di perdita di fitness è chiamata de-allenamento, in contrasto con un processo graduale e costante di miglioramento della propria condizione e adattamento dove CONDIZIONE= FITNESS+FRESCHEZZA Il de-allenamento è quindi una parziale o completa perdita degli adattamenti anatomici (es. tono muscolare) e fisiologici (es. modifica parametri FC= incremento valori basali, leggero incremento valori massimali) come conseguenza di una ridotta o cessata attività di allenamento. E’ da sottolineare che influisce spesso anche sulle capacità tecniche (= anche neuromuscolari) dell’atleta. Ho quindi raccolto e sintetizzato alcuni studi e ricerche in materia di de-allenamento: come spesso avviene in questi casi ci possono essere delle discrepanze ma un’analisi trasversale porta spesso a dei trend e riferimenti, anche percentuali, che delineano un quadro generale tenendo sempre in considerazione la variabilità tra soggetti. Quanto riassunto e descritto è in ogni caso un riferimento generale. Pausa di: 2-3 gg E’ un periodo breve con marginale impatto negativo, anzi spesso si osserva un piccolo “rimbalzo” nella condizione, come in un micro tapering. Questo avviene spesso nella capacità anaerobica (Z6) in quanto affetta positivamente da un piccolo de-allenamento per effetto di una maggior freschezza muscolare. Crollo nel livello endogeno di beta endorfine e adranalina (es. con medesimo effetto per cui nel post 24h dopo la gara ci si sente ancora generalmente bene ma ciò decade nel post 48h). Questo calo comporta come conseguenza anche un degrado, in negativo, dell’umore. 3-5 gg Perdita nell’elasticità muscolare. Calo delle capacità aerobiche del 5% dopo il 5° giorno consecutivo di pausa. (N.B. FTP  è un riferimento delle capacità aerobiche pure). 7-9 gg La performance nell’endurance e resistenza alla fatica decade dopo una settimana di inattività, in particolare a livello cardiovascolare e muscolare nella componente di endurance (probabilmente per la veloce perdita di adattamenti biochimici). L’abilità di utilizzare ossigeno cala di un 4-10% (di conseguenza anche VO2 max= sostenibilità Z5) indipendentemente dal livello raggiunto dall’atleta. Perdita di un 8% nella forza (componente massimale). 10 gg Riduzione nella velocità del metabolismo: necessità di compensare con un minor apporto calorico o si assisterà ad un incremento ponderale. 11-13 gg Prima visibile perdita del tono muscolare. 14-16 gg L’attività mitocondriale (=produzione energia) decresce rapidamente. Come conseguenza si assiste ad una perdita nella massa muscolare, forza e velocità del metabolismo. 17-19 gg Perdita di efficienza nella termoregolazione: alla ripresa si verifica un maggior dispendio energetico nel cercare di contenere la temperatura corporea durante l’attività. 20-21 gg Perdita di un 20-25% nel valore VO2 max. La forza, nelle sue varie accezioni (massimale, esplosiva, resistenza alla forza …N.B. la cosiddetta forza resistente è un ossimoro) è mantenuta rispetto all’iniziale perdita. Anche in questo va letto...

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