Copertoni BdC: TPI cos’é

Cosa indica la il TPI nei pneumatici per biciclette? TPI indica i fili per pollice presenti nella carcassa; è l’unità di misura della flessibilità delle gomme. Più è basso il valore e più la gomma risulta rigida (ideale per utilizzi FR – DH), piuttosto, se la trama è più fitta (numero di TPI più alto) la gomma sarà più flessibile e dunque adatta ad utilizzi XC -strada. TPI, significa:  Tread (filo) Per (per) Inch (pollice = 2.54 cm); Contando il numero di fili che presenti su una lunghezza pari ad 1 pollice si ha il numero di fili per pollice, ovvero TPI. maggiore è il numero di TPI, minore sarà la quantità di gomma presente (a parità di superficie di carcassa). Cosa significa tutto ciò?   Minore Peso Maggiore Flessibilità e Comfort Maggiore Scorrevolezza   Quanti più fili vengono integrati all’interno della gomma della carcassa, tanto minore risulta la quantità di gomma necessaria per riempire gli spazi tra i fili stessi. Di conseguenza risulta che: Maggiore è il numero di fili presente in 1 pollice di lunghezza, tanto più sottili e flessibili risultano i fili stessi. L’energia viene infatti dissipata in prevalenza durante la deformazione della gomma ed essendoci meno gomma, l’energia che verrebbe assorbita dal pneumatico durante il rotolamento viene invece impiegata nel movimento; ne risulta un notevole aumento della scorrevolezza.   TPI: Fili per Pollice   Naturalmente TPI = Maggior Scorrevolezza è un concetto applicabile quando ci troviamo in condizioni di parità di gomma applicata; in altre parole acquistando un pneumatico bici appartenente alla fascia Entry Level, solitamente caratterizzato da 60 TPI (costo circa 15-20€), avremo un pneumatico caratterizzato da:     Bassa propensione alla foratura Alta resistenza al rotolamento Elevata durata (maggiore quantità di gomma posta sopra il pneumatico, rispetto ad un prodotto di alta gamma) La gomma viene inoltre posizionata tra i fili; ne consegue che con una quantità minore di fili, serve una quantità maggiore di gomma per colmare gli spazi tra filo e filo. Inoltre la gomma è un materiale inerte che presenta caratteristiche di rendimento diverso in base alle carcasse, ai quantitativi ed all’abbinamento con i differenti tipi di carcassa.     Carcassa ad alto TPI Carcassa a basso TPI Più fili per unità di lunghezza Meno gomma per riempire gli spazi tra i fili Minore spessore dello strato Meno fili per unità di lunghezza Maggior quantità di gomma necessaria per riempire gli spazi tra i fili Maggiore spessore dello strato Risultato Risultato Peso inferiore Più flessibilità Minore resistenza al rotolamento = Maggiore scorrevolezza Comfort maggore Migliore contatto con la strada Peso superiore Minore flessibilità Più alta resistenza al rotolamento Comfort minore    Articolo tratto da: www.gommeblog.it   Follow...

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La scelta della guarnitura e dei pignoni

La scelta della guarnitura nella bicicletta da strada, assieme ai pignoni posteriori, riveste un’importanza fondamentale e, per la maggior parte di noi, condiziona la scelta dell’intera bicicletta perché poi, se non altro per motivi economici, difficilmente si ritorna sui propri passi. Vediamo innanzitutto di capire quale sia la terminologia corretta. Per guarnitura si intende l’insieme delle corone e della relativa pedivella. Fino a non tantissimi anni fa la scelta era semplice. Esistevano solamente guarniture doppie (con due corone) e, di fatto, si utilizzava quasi esclusivamente una combinazione 53/39 (il doppio numero indica il numero di denti delle corone, 53 denti la corona grande, 39 quella piccola). Più recentemente sono state introdotte le guarniture triple (spesso una 52/39/30) ma soprattutto le cosiddette guarniture “compact“, nient’altro che una doppia con due corone più piccole, generalmente 50/34. La corona anteriore, in combinazione con il pignone posteriore, dà origine al rapporto (potremmo anche chiamarlo “marcia” con un termine automobilistico) che, come suggerisce il nome, è appunto il rapporto tra il numero di denti della corona anteriore e quello del pignone posteriore che utilizziamo per pedalare. Ecco perché quando vi chiedono “Che rapporto usi?”, si risponde semplicemente con una coppia di numeri: per esempio 53×15 (si dice comunemente “53 per 15” anche se algebricamente è un orrore trattandosi di una frazione!), 50×14, 39×19, 34×25, ecc.. Il rapporto moltiplicato per la circonferenza della ruota (approssimativamente si può utilizzare una circonferenza standard di 210 cm per una ruota da 28 pollici) ci permette di sapere la lunghezza esatta che sviluppiamo con un giro completo di pedivella (360°). Per esempio: 53 : 15 = 3,533 x 210cm = 7,42 metri 34 : 25 = 1,360 x 210cm = 2,86 metri Dovrebbe essere chiaro a questo punto che, con una corona grande davanti ed un pignone piccolo dietro, si pedala con un rapporto “lungo” e quindi lo sviluppo di pedalata è particolarmente elevato (una “marcia” lunga). Sono i tipici rapporti da discesa o da pianura se vi sentite dei campioni. Viceversa, corona piccola davanti e pignone grande dietro equivale a rapporto “corto”, quindi ad uno sviluppo di pedalata modesto. Più la strada sale, o meno in forma siete, e più si utilizzano pignoni con un numero elevato di denti. Una guarnitura doppia tradizionale (53/39) fa molto “figo” ma, se non avete migliaia di chilometri nelle gambe, probabilmente vi stancherete prima a parità di pignone posteriore. Viceversa, una tripla (52/39/30) fa molto “schiappa”, forse in mezzo al gruppo vi guarderanno con diffidenza se non con disprezzo, ma è una scelta da prendere seriamente in considerazione se cercate una soluzione “multipurpose”, che si addica a qualsiasi tipo di percorso e che vi permetta di salvarvi quando andrete in crisi sullo Zoncolan o sullo Stelvio (perché con un rapporto particolarmente “corto” potrete affrontare in agilità salite anche molto lunghe e impegnative). In mezzo ci sta la doppia compact, oggigiorno certamente la più diffusa e spesso scelta obbligata quando si acquista una bicicletta. Infatti, c’è anche questo da tenere bene a mente. Se investite cifre folli in questo bellissimo sport (per una top di gamma si possono spendere 10.000 e più Euro), nessun problema. Ordinate quello che volete, anche le viti del vostro colore preferito, e ci fate montare qualsiasi guarnitura o pacco pignoni. Purtroppo, se il budget a disposizione non è infinito, la bici da corsa si acquista così come la trovate e non c’è possibilità alcuna, o molto limitata, di personalizzazione. Generalmente, le guarniture triple vengono riservate alle biciclette economiche e non troppo costose anche se alcune case, poche purtroppo, hanno in catalogo la stessa bicicletta in due versioni: guarnitura doppia oppure tripla. Valutate infine quale pacco pignoni viene montato alla ruota posteriore. A differenza di vent’anni fa, raramente è possibile sostituire un singolo pignone di quelli più grandi e, se l’acquisto non vi aggrada,...

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La lunghezza delle pedivelle

La lunghezza delle pedivelle conta parecchio nel ciclismo e, nonostante la scelta potrebbe e, talora, dovrebbe essere di una facilità disarmante, si trovano frequentemente opinioni discordi in merito. Teoricamente, il discorso è molto semplice. La pedivella è una leva di secondo grado, ove la forza resistente (resistenza) è infrapposta tra fulcro (il movimento centrale) e forza applicata (forza esercitata sul pedale). Trattandosi di una leva sempre “vantaggiosa”, con una pedivella più lunga si pedala, a parità di sforzo, ad una velocità più elevata oppure, a parità di velocità, con uno sforzo minore (non aspettatevi comunque grosse differenze all’atto pratico). C’è però un problema tutt’altro che irrilevante. Allungando la pedivella, il pedale, quindi il piede, compie una circonferenza più ampia e, nello stesso giro di 360°, percorre una distanza maggiore (per esempio, con una pedivella da 170 mm, il pedale compie un percorso circolare di circa 107 cm, mentre con una pedivella da 175 mm si passa a quasi 110 cm). Da un punto di vista pratico, ciò comporta una perdita di agilità immediatamente riscontrabile se si ha la possibilità di provare la stessa bicicletta con pedivelle di lunghezza differente. Da non sottovalutare nemmeno il fatto che, con pedivelle più lunghe, cresce anche la distanza tra punto morto inferiore e superiore della pedalata: le articolazioni sono sottoposte a movimenti angolari maggiori e tutta la muscolatura (particolarmente i quadricipiti femorali) viene allungata e contratta più intensamente. La scelta della pedivella sarà quindi sempre e comunque un compromesso tra agilità (pedivelle più corte) e capacità di spingere leve maggiori (pedivelle più lunghe), anche in funzione di gusti personali (uno “sprinter” è portato a ricercare l’agilità senza compromessi, mentre un cronoman o un triathleta, nelle gare senza scia, potrebbe beneficiare di misure “importanti”, sempre che abbia una muscolatura sufficientemente formata e che non lo penalizzi troppo). Ma ci sono differenze anche tra bici da corsa e mountain bike. Su strada, dove le scie e le variazioni di ritmo giocano un ruolo fondamentale, si privilegia l’agilità e generalmente si adottano misure di pedivelle più corte rispetto alla mountain bike. In questa specialità, infatti non esiste il “gioco di gruppo” e ognuno pedala o gareggia quasi esclusivamente in funzione di stesso, più o meno come se fosse una gara a tempo (l’agilità di pedalata ha quindi un’importanza minore).   Sul mercato si trovano pedivelle di lunghezza compresa tra 165 e 180 mm con incrementi di 2,5 mm. Tuttavia, non tutti i produttori e non tutti i gruppi hanno una scelta così ampia. Le 177,5 e le 180 mm si possono considerare di “elite”, reperibili soltanto in prodotti di altissima gamma e dall’utilizzo molto marginale. All’estremo opposto, non sempre si trovano in catalogo le 165 e le 167,5 mm (per esempio Campagnolo non le produce affatto). E’ quindi molto probabile che una bicicletta in “pronta consegna” abbia le 170 mm, le 172,5 mm (quasi uno standard nel ciclismo su strada moderno) oppure le 175 mm (più raramente). Tuttavia, non è raro trovare combinazioni “impossibili”, per esempio le 175 mm montate su telai da “nani” o viceversa. Controllare e scegliere è di importanza fondamentale, eppure raramente la pedivella rispecchia le misure antropometriche dello sportivo, anche esperto, talora propenso a pensare che una pedivella cambi poco o nulla nella pedalata. Per la lunghezza corretta, esiste una miriade di tabelle. Ancora oggi, molto utilizzata è quella di Bernard Hinault e Claude Genzling, tratta dal libro “Ciclismo su strada” (Sperling & Kupfer, 1989). Tuttavia non tiene conto nè della realtà del mercato, che di fatto restringe la scelta alle misure 170-172,5-175mm, nè delle caratteristiche fisiche individuali. A mio avviso, infatti, non...

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Pedivella “lunga”, pedivella “corta”, pedivella “normale”.

    Quali vantaggi offre l’uso di pedivelle più lunghe della media? Quali gli svantaggi? E ancora: in base a quali principi dev’essere scelta la lunghezza di una pedivella? E’ un componente da considerarsi di misura “standard”, sul quale “adattare” – per così dire – le caratteristiche del ciclista, a cominciare dalla posizione in sella? Oppure è da scegliere in funzione delle quote fisico-antropometriche individuali? E se le cose stanno così, perché la pedivella da 170 mm è quella più diffusa? Domande molto intriganti perché spesso nascondono pregiudizi e luoghi comuni difficili da estirpare. Domande molto interessanti per chi pedala, perché coinvolgono – in definitiva – l’intera teoria ciclistica e, in particolare, quella parte che riguarda la posizione sulla macchina ed il rendimento ottimale della pedalata. Dunque, un discorso che ci porterebbe lontano e che lo spazio tiranno ci impedisce di sviluppare come si dovrebbe. Ci proveremo, tuttavia, per grandi linee con l’intenzione soprattutto di dare un contributo per rimuovere i troppi pregiudizi del passato. Anche a costo di apparire schematici e non del tutto esaurienti. Partiamo da alcuni dati di fatto. Oggi le pedivelle più diffuse sono quelle lunghe 170 mm. I perché svariano dall’abitudine al conformismo, dall’esperienza consolidata, al timore della novità, ma non hanno una vera e propria ragione tecnico-scientifica. Non esiste ancora da noi, infatti, un modello teorico di riferimento del ciclista e del suo rendimento ottimale in bici che sia affidabile. Di rado la scelta della misura viene fatta rispettando i canoni amtropometrici del ciclista. Anzi. Si va per sentito dire, per usi e tradizioni abitudinarie, talvolta non del tutto condivisibili. O superate dall’evoluzione dei tempi. Spesso si dà più rilievo ad una verniciatura, ad un particolare estetico piuttosto che a questo componente. Come se da esso, da questa piccola, importantissima leva non dipendesse gran parte del nostro rendimento, quindi della nostra soddisfazione in sella. Eppure su di un dato la maggior parte degli esperti è d’accordo:   la lunghezza della pedivella dev’essere scelta in relazione alle quote degli arti inferiori Una teoria, però, che trova poca attuazione pratica. Anche se l’industria ed il mercato – occorre ammetterlo – offrono una gamma pressoché completa di possibilità. A frenare moltissimo lo sviluppo e la ricerca del giusto rapporto fra lunghezza degli arti inferiori e quota delle pedivelle sono stati nel tempo la relativa scarsità delle indagini speculative sull’argomento e il consolidarsi di molti, troppi pregiudizi. Prima fra tutte l’opinione che usare pedivelle più lunghe del tradizionale (la misura standard è di 170 mm) porterebbe ad un affaticamento pericoloso dei tendini e a una serie di guai che da questo problema discenderebbero a cascata. E talvolta le conclusioni non felici di esperienze frettolose o male effettuate hanno trovato appiglio in teorie, abbastanza condivise nell’ambiente delle due ruote fino a qualche tempo fa, ma spesso basate su conclusioni empiriche, o para-scientifiche, perché la ricerca non poteva avere alle spalle allora i mezzi e i metodi computerizzati di cui oggi dispone. Così, Giuseppe Ambrosini, uno dei “padri” della teoria e della tecnica della bicicletta (il suo “Prendi la bicicletta e vai”, è una vera e propria pietra miliare, anche se ora appare in taluni passi abbastanza datato) non nasconde la sua ostilità alle pedivelle più lunghe. Secondo Ambrosini il semplice aumento di un centimetro della lunghezza delle pedivelle provoca la crescita di due centimetri nel movimento del ginocchio dall’alto al basso durante la pedalata, mentre piede e caviglia compiono un percorso più lungo di 6,28 cm. lungo la circonferenza che rappresenta la rivoluzione completa. Ne deriva, secondo Ambrosini, che la coscia si flette maggiormente sul bacino quando il...

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IL TELAIO SLOPING

Deriva dal termine inglese slope: inclinazione, la geometria che prevede il tubo superiore in pendenza verso il piantone è di derivazione d’Oltreoceano e figlia diretta del mondo della mountain bike. Questo è stato sicuramente il contributo più evidente dato dalla spinta evolutiva della bici da montagna al mondo un po’ meno dinamico della bici da strada. Inclinando il tubo superiore il telaio diventa più compatto e, di conseguenza più rigido. Spesso si fa riferimento anche ad un guadagno in termini di peso ma la differenza è davvero minima: a un piantone più corto corrisponde un tubo di sella più lungo e, se non si utilizza un reggisella ultraleggero, questo può essere addirittura uno svantaggio. La geometria sloping ha acquistato diversi estimatori e, dall’altra parte, anche diverse critiche. Ecco i punti fondamentali. Vantaggi – Il telaio è più compatto, quindi più rigido e scattante. – Esteticamente i ciclisti di piccola taglia possono avere un vantaggio notevole poiché la bici risulta molto più slanciata e meno “affogata” tra le ruote. – Il telaio può essere costruito con tubazioni più leggere perché il disegno è raccolto. Gli atleti di grande statura possono avere una struttura in grado di disperdere meno le energie e, alla fine, anche più elegante. – Trovare la posizione può essere più facile poiché con i reggisella più lunghi (adatti a questo tipo di biciclette) si può regolare con più libertà l’altezza della sella. Svantaggi – Il reggisella più lungo può far perdere rigidità quando il ciclista è seduto in sella. Il cannotto deve essere ben strutturato per non flettere al peso del ciclista e non farlo saltellare sotto la spinta ritmica della pedalata. Molto spesso, inoltre, le proposte di telai sloping non prevedono il su misura ma solo una serie di misure standard cui ci si deve adattare agendo sulle misure della componentistica. – In alcuni casi il telaio sloping può risultare troppo rigido e provocare mal di schiena. – Il risparmio di peso non è così marcato. Per utilizzare i telai sloping, infatti, occorre utilizzare reggisella da 350 mm decisamente più pesanti dei normali da 250 mm. Al momento dell’acquisto occorre avere le idee molto chiare per non rischiare di prendere un telaio troppo piccolo. E’ vero che le regolazioni sono maggiori, ma la difficoltà di stabilire la giusta misura rispetto al telaio tradizionale può trarre in inganno. Un’alternativa Tra sloping e tradizionale si pone un’altra soluzione interessante elaborata dalla cicli Colnago in tempi… non sospetti e senza l’influenza della mountain bike. Quella che nella casa del trifoglio viene chiamata geometria Freuler (dal velocista svizzero di grandi dimensioni degli anni ottanta che la adottò per primo) prevede il tubo superiore parallelo al terreno ma piantone e tubo di sterzo che svettano di diversi centimetri. Il triangolo principale del telaio risulta comunque di dimensioni ridotte senza ricorrere allo sloping. Cosa dice l’Uci Per frenare l’elaborazione di biciclette troppo diverse le une dalle altre (e ricondurre le differenze di prestazione alle capacità fisiche degli atleti) l’Unione Ciclistica Internazionale ha posto un limite all’inclinazione del tubo superiore. Nel disegno del telaio il tubo superiore deve rientrare in un parallelogramma che abbia un’altezza massima di sedici centimetri. Da questo deriva che telai di dimensioni minori possano avere inclinazioni più accentuate di telai più grandi.  articolo tratto da: www.cyclinside.com Follow...

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